Titans: Season 2 – la buona volontà non sempre basta

Fin dalla nostra recensione della première avevamo evidenziato come Titans fosse partita con alcuni squilibri nella gestione delle trame, auspicandoci che venissero risolti nel corso della stagione appena conclusasi. Non siamo stati accontentati e la prima cosa che salta all’occhio è l’apparente incapacità degli autori di gestire adeguatamente un ampio numero di protagonisti e una serie di trame in parallelo.

Nel corso dei tredici episodi della stagione ci sono stati proposti i Flashback sui vecchi Titani al fine di spiegarne lo scioglimento e il filo conduttore che li legava a Deathstroke, la sottotrama dei poteri impazziti-ma-non-si-sa-come-e-perché di Raven, la vicenda della fuga di Starfire, l’introduzione di Superboy con conseguente inserimento di Cadmus e dell’ombra di Lex Luthor e sicuramente ci stiamo scordando qualcosa.

Troppo tutto insieme per permettere a una storia di fluire in modo organico e omogeneo e i risultati, purtroppo, si vedono.

Titans non è una brutta serie, tutt’altro. Guardandola ci si diverte, ci si appassiona, ci si affeziona ad alcuni personaggi e si vive la frustrazione di alcune svolte, ma alla fine della stagione si ha la netta percezione che sia mancato qualcosa e quel qualcosa è una trama coerente che riesca a far crescere l’attesa per poi scioglierla nel momento giusto.

Ecco, le tempistiche sono forse il vero problema della serie. In rete molti spettatori si sono lamentati dell’eccessivo uso, soprattutto nella prima metà, di interi episodi flashback inseriti subito dopo un grosso cliffhanger: se una scelta del genere può funzionare in uno scenario da binge-watching, con una cadenza settimanale degli episodi il risultato è invece causa di una crescente irritazione e frustrazione per lo spettatore che si trova a dover attendere due settimane per la risoluzione del conflitto rimasto appeso.

Non solo, spesso tale risoluzione è troppo prevedibile e immediata per dare la giusta soddisfazione dopo un’attesa del genere.

La gestione peggiore la si ha, purtroppo, proprio nel finale: sconfitto il villain di turno, calata la tensione, l’evento drammatico – che non menzioneremo per evitare spoiler gratuiti – che avviene subito dopo non è gestito in maniera credibile e non riesce a coinvolgere lo spettatore che finisce per assorbirlo un po’ incredulo e molto irritato. Che quel particolare evento avvenga può infastidire alcuni fan – incluso chi scrive – ma che avvenga in quel modo è segno di una scrittura pigra che non è stata in grado di trovare nulla di meglio. Non solo, gli stessi dialoghi portano a immaginare che la porta per il reset dell’evento stesso sia già aperta e incrementano la totale mancanza di empatia verso tutto ciò che avviene negli ultimi 10/15 minuti dell’episodio. Lo ripetiamo: sarebbero bastate poche correzioni per evitare un risultato così scialbo e irritante.

Nonostante le critiche, la serie non manca comunque di parecchi pregi. Il cast è sempre più azzeccato ed è una gioia poter assistere alle interazioni di alcuni personaggi, a partire da DonnaDown e Kory, mentre è evidente quanto Teagan Croft sia sempre più a suo agio nel ruolo di Rachel. Non male anche il maggior approfondimento dato al Robin di Curran Walters, soprattutto da metà stagione in poi, quando finalmente inizia a venirne rifinito il carattere e si smette di farlo apparire come un imbecille bidimensionale. Dispiace, invece, per lo scarso utilizzo di Gar, che pur avendo sottotrame a lui dediche sembra sempre più una comparsa che altro.

Ottima la resa di Superboy ma – lo ammettiamo – il nostro vero debole va a Krypto, per il quale esigiamo uno spin-off dedicato.

Ciò che colpisce è quanto bene funzioni Iain Glen nel ruolo di Bruce Wayne. Sebbene il bravo attore non abbia quel fisico robusto che ormai associamo al personaggio di Batman, Glen riesce a trasmettere l’adeguato mix di stanchezza e saggezza di un Cavaliere Oscuro non più nel fiore degli anni. Che si tratti della sua presenza fisica oppure di un’immagine mentale creata dalla mente di Dick il risultato è superiore alle aspettative.

Così come non possiamo lamentarci della resa di Esai Morales nel ruolo di Deathstroke. In questo caso il confronto con la versione del personaggio comparsa nell’Arrowverse è d’obbligo, ma il risultato è probabilmente un ex aequo: se dal punto di vista del realismo questo Deathstroke è indubbiamente migliore, quello visto nella prima stagione di Arrow aveva dalla sua una costruzione più lunga e una serie che non aveva ancora buttato nella spazzatura la propria credibilità.

Cercando di trovare un punto comune alle trame, se la prima stagione era stata il momento della raccolta di individui solitari, la seconda è focalizzata sul fare i conti col passato e sulla perdita dell’innocenza affrontandone gli spettri. È così per Dick e per le sue responsabilità legate a Jericho, è così per Kory e per le conseguenze del suo abbandono del pianeta d’origine, ma lo è anche per Rachel che ancora deve gestire i residui della lotta col padre, per Hawk e Dove incapaci di abbandonare i traumi che li hanno uniti e per i Titani tutti, sciolti da un trauma e dalle menzogne e che scoprono di non poter restare separati ma, per farlo, di essere costretti a perdonarsi, personalmente e reciprocamente.

Gli stessi nuovi personaggi, Conner Rose, finiscono per dover imparare sulla loro pelle a gestire un passato che nel caso del primo è ridotto a pochi giorni: gli errori, i traumi, le scelte sbagliate sono un carico di chiunque e questa stagione cerca di portare i propri personaggi a imparare ad affrontarli nonostante tutto.

Se, quindi, i risultati effettivi della narrazione si sono rivelati altalenanti, i sottotesti, i dialoghi e le interpretazioni degli attori (e Kripto, ricordiamolo) rendono comunque la stagione una visione discreta e divertente che, però, difficilmente riuscirò ad avvicinarsi al primato qualitativo della sua gemella Doom Patrol.

Sappiamo già che la serie è stata rinnovata per una terza stagione e che, nelle intenzioni, dovrebbe coprirne cinque: la speranza è che i difetti che in origine avevamo imputato a una certa acerbezza vengano finalmente superati e che la scrittura si adatti al modo di trasmissione previsto. Scrivere per una serie da binge è molto diverso dal farlo per una serie settimanale e l’impatto sull’appagamento dello spettatore cambia notevolmente, se gestita male.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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