La vera storia di Buzz

(con spoiler, consideratevi avvisati)

Devo probabilmente iniziare questo post con una sorta di coming out: pur avendo visto i film di Toy Story l’ho fatto troppo tardi perché lasciassero un segno nel mio immaginario, per cui non ho mai sviluppato un forte legame coi personaggi della serie.

L’annuncio del film dedicato alla vera storia di Buzz Lightyear, quindi, mi incuriosì in modo abbastanza distaccato: lo vedevo per certi versi come una mossa commerciale come tante altre e per altri con la curiosità di cosa avrebbero potuto inventarsi. Col procedere del tempo e con l’uscita, poi, la curiosità è aumentata, alimentata dai tanti commenti positivi che stava raccogliendo e dai cenni al suo aprirsi verso una maggiore rappresentazione LGBTQ+.

Lunga premessa per dire che, ad esempio, alcuni dei riferimenti facilmente a disposizione di chi ha visto decine di volte i vari Toy Story e le serie di animazione derivate sono stati meno immediati per me che, invece, mi sono trovato a sorridere più volte per gli omaggi alla fantascienza già presente nell’immaginario collettivo.

Ma Buzz, in realtà, il carico dei vari Toy Story non ha particolare intenzione di tenerselo se non per far sorridere con gli amici: il film vuole essere (e ci riesce piuttosto bene) una storia a sé, che si regge sulle proprie gambe e cerca di creare da zero un personaggio.

Se ci pensiamo si tratta di una situazione abbastanza atipica: Buzz, il giocattolo, è ben conosciuto e definito, ha un suo carattere, una sua evoluzione, una sua personalità. Ma Buzz, il personaggio del film, non è il giocattolo e i punti in comune si fermano all’aspetto e ai riferimenti presenti nei film originali e qui ripresi per essere “spiegati”. Ci troviamo quindi davanti a un personaggio al contempo amato e sconosciuto, definito e carta bianca, e su questa carta bianca gli autori hanno deciso di raccontare una storia interessante di crescita e di confronto con aspettative e realtà.

Questo è, per quanto mi riguarda, l’elemento narrativo principale: Buzz nasce come un personaggio da cui tutti si aspettano molto, lui in primis, e quando fallisce la sua reazione è l’incapacità di accettare, la necessità di rimediare a un errore per ripulire quella che ritiene essere una macchia sulla propria esistenza che sente non adeguatamente giustificata altrimenti.

Questa ricerca lo porta potenzialmente ad annullarsi: mentre il mondo intorno a lui va avanti, lui rimane incastrato in un ruolo che nessuno – davvero – voleva dargli, se non lui stesso. La scelta di giocare sulla differenza temporale è splendidamente simbolica, perché ci mostra da una parte la vita che procede e dall’altro un uomo incastrato nel passato, incapace di andare oltre, di superare ciò che lo blocca.

Ed è ovviamente fondamentale la scoperta della vera identità del villain (in cui prendiamo al volo la citazione de L’impero colpisce ancora, ovviamente): il cattivo non può che essere Buzz stesso, una versione alternativa che non ha avuto modo di prendere contatto con la realtà e si è fatta divorare dal bisogno di riportare tutto come avrebbe dovuto essere. Ma quel “come avrebbe dovuto” non esiste, se non nella mente di qualcuno che non può affrontare l’aver bruciato la propria vita alla ricerca di un risultato che – di nuovo – nessuno gli aveva chiesto. Solo lui. Ciò che “avrebbe dovuto essere” è un reset di una persona incapace fino all’ultimo di mettere in discussione l’unica cosa di cui davvero avrebbe dovuto: l’aspettativa malriposta e l’incapacità di fermarsi e osservare.

Le aspettative sono la chiave di lettura anche dei comprimari, in particolare di Izzy, costantemente sotto l’ombra della nonna. E di nuovo il messaggio è quello di non fermarsi a ciò che altri o noi stessi ci aspettiamo da noi, perché potremmo impedirci di diventare ciò che davvero siamo, ciò che è realmente nelle nostre potenzialità.

L’aspetto LGBTQ+ è estremamente Disneyano, ma trovo apprezzabile il fatto che la presenza di due madri non venga messa sotto un riflettore (se non nei commenti extra-film): ci sono e basta, com’è giusto che sia. Troppo poco? Forse, ma trovo che anche questo tipo di rappresentazione sia utile affinché gli sguardi normalizzino qualcosa che non avrebbe bisogno di esserlo.

Non sto invece troppo a soffermarmi sull’ovvio protagonista del film, il gatto Sox. Scherzi a parte, siamo ormai abituati da tempo ad avere un personaggio (animale, robotico o, in questo caso, entrambi) che in qualche modo ci possa rubare cuore e attenzione, ma diciamocelo: lo sanno fare bene e noi ne siamo estremamente contenti. Sfido chiunque abbia visto il film a non aver desiderato di avere un Sox per casa, anche chi di noi è già ben assestato sulla quota felina casalinga. I fan di Star Wars avranno anche notato come il modo in cui Sox si innesta nei sistemi richiami quello di R2-D2.

Non mi metto a elencare i vari easter eggs presenti nel film, anche se posso dire che mi ha divertito parecchio la scena del “soffio sui contatti” che tanto (e volutamente) ricorda i vecchi videogiochi a cartuccia.

La vera storia di Buzz è, in conclusione, un ottimo film che non solo fa trascorrere piacevolmente un paio d’ore, ma riesce a raccontare una storia lineare e completa, a trasmettere un messaggio e a non perdersi in citazioni (seppur presenti) che avrebbero rischiato di renderlo solo una sorta di fanservice.

Un risultato gradevole e in buona parte inaspettato.

https://www.disneyplus.com/it-it/movies/lightyear-la-vera-storia-di-buzz/2Pq8mtUg7ztB

PS completamente off-topic: aggiornate i vostri segnalibri, d’orai in poi il blog risponde all’indirizzo oldmanaries.it, mentre ariesblog.it sarà un semplice redirect. Avevo detto che c’erano novità in corso.


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Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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