Inchiesta

Ho sempre avuto un’enorme ammirazione per la professione giornalistica: l’idea di persone pronte a sacrificarsi, addirittura in certe occasioni a sacrificare la propria vita e la propria sicurezza, in nome della verità è un qualcosa che ho sempre trovato degna di ogni stima e di onore.
Nella mia mente, il giornalista è un uomo o una donna dotato di senso della giustizia, di decenza, di morale, di etica, dedicato alla missione di informare e, se necessario, portare alla luce.

Un’idea romantica, fin troppo, lo ammetto, ma ognuno di noi ama credere in certe favole, no?

Ecco, la mia favola giornalistica è qualcosa tipo The Newsroom, per capirci.

Ma le favole sono ben diverse dalla realtà, pur qualche volta sfiorandosi: ci sono, e ho la fortuna di conoscere in maniera più o meno diretta, giornalisti che fanno onore al proprio ruolo; professionisti che cercando di dire la verità, che non puntano alla manipolazione, che se sbagliano lo ammettono, che credono nell’etica della loro professione: esistono e hanno tutta la mia stima e la mia gratitudine, perché mi fanno ancora sperare in quella piccola favola.

Poi, però, ce ne sono tanti altri. In primis quelli che di etica non conoscono neanche lo spelling e che usano i propri articoli per spargere odio e disinformazione (e sì, mi riferisco a molti di quelli che scrivono su un paio di carte stracce di destra che non starò a nominare): questi non dovrebbero neanche entrare nella categoria, data l’indecenza di cui si macchiano quasi quotidianamente.

Poi ci sono quelli che sarebbero bravi giornalisti, che in passato si sono anche dimostrati in grado di grandi cose, ma poi hanno deciso di vendere la propria penna a una fazione politica, diventandone portavoce e diffusori di ideologia: nulla di male a voler portare avanti il proprio pensiero, diventa male quando lo si spaccia per verità dietro una professione che, a questo punto, andrebbe abbandonata a favore di quella di portavoce. Se non riesco a leggere in fondo a una qualunque cosa scritta da Scanzi o Travaglio un motivo c’è.

Ma c’è di molto peggio. Ci sono giornalisti che a lungo si sono costruiti una fama: quella di onestà, di essere super partes, dalla parte del cittadino ignaro di ciò che viene fatto alle sue spalle. Sono giornalisti d’inchiesta, che settimana dopo settimana, trovano nuovi scandali, nuove denunce da fare, pronti a lottare per la verità e la correttezza. O almeno così dovrebbe essere. Perché, vedete, il giornalismo d’inchiesta è difficile, molto difficile. Richiede lavoro, dedizione, approfondimento e, soprattutto, ha un’incredibile probabilità di fallimento: quante volte si può indagare e fare un buco nell’acqua, quante approfondire su basi che poi si rivelano infondate? Tante, tantissime. Troppe, per alcuni. E allora perché dannarsi? Perché correre il rischio di buttare via del lavoro? Sapete cos’è molto più facile? Creare casi ad hoc. Passare informazioni parziali. Non dire, ma sottintendere. Montare servizi in modo che dicano qualcosa di più o meno diverso dalla realtà oggettiva. Perché, si sa, il sensazionalismo paga tanto, la realtà un po’ meno. Dire “guardate cos’abbiamo scoperto” anche se non è poi così vero attira molto più l’attenzione di “abbiamo indagato, ma non abbia trovato nulla di davvero grave”. Molto.
E il problema, quando qualcuno decide di agire in questo modo opinabile, è che è difficile da scoprire, perché la maggioranza degli spettatori non sono del settore e non se ne accorgono: ce ne si accorge solo nel momento in cui finiscono per parlare di qualcosa di cui si sa.
Successe anni fa, quando mi sembra proprio Report fece un servizio di denuncia riguardante un settore in cui lavorava un mio cliente: in tale servizio il cliente venne nominato, buttandolo lì in una domanda, senza che questo fosse in qualche modo legato a ciò che si stava dicendo. Ma il nome era stato fatto e, quindi, la pulce infilata. Posso darvi per certo che nessuna di quelle allusioni fosse vera, ma io lo sapevo, chi ci lavorava lo sapeva, chi era esterno no e fu necessario fare comunicazioni ufficiali (che, si sa, non hanno mai lo stesso ascolto delle affermazioni iniziali).
Qualche mese fa successe lo stesso con un servizio sui cibi degli animali: stavolta quelli che si resero conto che qualcosa non andava furono veterinari e chi lavora nel settore; gli altri? Gli altri ci credettero perché, di nuovo, non potevano fare altro.
Se qualcuno di cui vi fidate vi dice una cosa, voi continuerete a fidarvi finché non avrete l’evidenza che sia una menzogna perché vi riguarda direttamente.
Ecco con cosa giocano certi giornalisti.

Quello che è successo ieri, col servizio sul papilloma virus, è grave in innumerevoli modi.
È grave perché ha diffuso disinformazione.
È grave perché ha ingannato gli spettatori.
È grave perché ha giocato con la salute delle persone su una malattia di cui si muore.
È grave perché è stato fatto coscientemente e col solo scopo di fare sensazionalismo.
È grave perché si è approfittato di una fiducia guadagnata, purtroppo, solo parzialmente per meriti veri.
È grave perché infanga il giornalismo e il giornalismo d’inchiesta e alimenta l’ignoranza che, soprattutto oggi, è il nostro peggior nemico.
È grave perché è avvenuto sulla TV pubblica, quella che dovrebbe garantire la corretta informazione dello spettatore.

Mi piacerebbe che ci fosse una reazione ufficiale a quanto accaduto, da parte degli organi competenti. Mi piacerebbe sul serio.

Sto vedendo reazioni del mondo scientifico, del mondo giornalistico più pulito, di persone di buon senso, ma il danno, temo, ormai è fatto.

E questo, più di ogni altra cosa, è imperdonabile.

Una sola cosa, vi raccomando: ricordatevelo la prossima volta che vi scandalizzerete davanti a un loro servizio. Ricordatevi che chi ha mentito più volte potrebbe farlo ancora, anzi, sicuramente lo farà ancora, perché finché converrà farlo non avrà motivo di smettere.

E sapete la cosa che odio di più? È che questa posizione è quella che serve ai complottisti. Esattamente quella che cercano.

Grazie, “giornalisti” di quella trasmissione, grazie davvero: ci state dando in pasto alla merda; spero ne siate fieri. 

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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