Ristampa N. 11: Un giorno al mare

Questo è il testo con la storia più strana, direi. Catalogato come racconto e, in questa forma, citato un anno e mezzo fa, lo pubblicai sul blog dieci anni e mezzo fa e fu scritto, invece, dodici anni e mezzo fa.
Come già spiegato, questo fu il testo da cui iniziò tutto: lo scrivere, il blog, i racconti, il romanzo. Tutto iniziò qui, in questo testo scritto come memoria o sfogo la sera di una calda domenica di ottobre trascorso in trasferta, partendo da Pordenone e arrivando sulla spiaggia di Lignano.
Quel giorno sentii il bisogno di scrivere, il resto è, beh, undici anni di blog, 2555 post, 15.874 commenti, quasi 600.000 visite.
E tutto nacque da queste parole.
Capirete quanto possa essergli affezionato.
 
È una giornata di quelle.
Una giornata che, se non prende subito la giusta piega, ti torturerà come una spina nel piede mentre sei lontano da casa e puoi tornare solo camminando: il problema è che spesso, quando capita, non hai la benché minima idea di quale sia questa piega da darle e ti ritrovi a fare tentativi che durano dieci secondi l’uno al massimo, quell’ormai classica sequenza leggere-musica-dvd-gioco-telefono-leggere-musica-dvd-gioco-telefono-leggere-musicarrrghhhhhhhh
Ma oggi no.
Oggi non puoi permettertelo, oggi non vuoi permettertelo, e ti rivolgi a quella che è da sempre la tua valvola di sfogo, confidando che il resto venga da sé: le chiavi, l’autoradio, i cd e sei pronto.
Metti in moto: era una settimana che non sentivi quel rumore e solo ora ti rendi conto di quanto ti mancasse. Preoccupante? Forse, ma non te ne frega molto.
Fanali accesi, autostrada, sei appena partito ed è già quasi ora di pranzo: ristorante, pizzeria, no, oggi ti vuoi sentire libero, oggi vuoi tutto come viene, per cui ti fermi al primo autogrill, uno dei più piccoli che tu abbia mai visto, e mangi un originalissimo camogli bagnato con un altrettanto originale miscuglio di caramello, acqua gassata, caffeina ed estratto di coca… sì, insomma, la solita cara vecchia coca cola, che magari ti ammazzerà anche lo stomaco, ma come scende giù bene…
Un giro veloce tra i quattro libri esposti (toh! Il nuovo thriller di quell’autore? Lo prenderai sicuramente, ma quando te ne verrà l’istinto ed oggi non è così, dovrà aspettare), il pieno al serbatoio e si riparte.
L’autostrada ti sta stretta: troppo dritta, troppo facile, troppo poco impegnativa; decidi di uscire e di girare per statali e provinciali, seguendo l’istinto ed un nome che poco prima ti è stato fatto e che, non sai perché, ti è rimasto impresso: guidi, veloce ma non troppo, superando gli immancabili storditi che sembrano darsi appuntamento ogni qualvolta vorresti avere la strada libera (ti sembra di vederli “ehi, sta per uscire, sbrigatevi se no lo perdiamo!!!!”).
E poi arrivi.
E lo vedi.
E capisci.
Il mare.
Non ci pensi due volte.
Ti incammini sulla spiaggia ed arrivi alla riva. Chiudi gli occhi. Respiri. E lo senti. Senti che comincia ad entrare in te, senti la sua voce che ti accoglie, che ti dice che ti stava aspettando, che puoi rimanere lì quanto vuoi, che sei protetto.
E cominci a camminare, senza neanche rendertene conto.
Guardi dritto davanti a te, vedi una specie di molo in lontananza, vedi la gente che ti viene incontro, sicuramente più di quanti immaginassi, merito del tepore e del fatto che, comunque sia, è domenica.
Hai caldo, non hai con te un costume per cui ti arrangi come puoi, slacciando la camicia e fregandotene del fatto di avere un fisico da Budda.
E cammini.
Qualche coppietta si è ritagliata un po’ di spazio ed un po’ di tempo per viversi: chissà se pensano mai a quanto fortunati sono in quei momenti. Non puoi fare a meno di pensare che a conti fatti nella tua vita ti è capitato raramente di crearti degli attimi del genere, cosa strana a rifletterci un po’, bisognerà rimediare.
E cammini.
Un cane che somiglia più ad un toporagno mostra ai propri padroni quant’è felice di giocare con quel bastone, è raggiante solo grazie alle loro attenzioni… proprio come Lupo, mio caro, dolce, vecchio amico… chissà, forse un giorno ci rivedremo.
E cammini.
Quei ragazzini che stanno facendo? Un castello? No, sembrano più delle palafitte costruite coi rami trovati sulla riva. Guarda come si divertono soddisfatti. E ti senti vecchio. O scemo. O più probabilmente entrambe le cose, perché non solo vorresti essere al loro posto, ma ti rendi conto che alla loro età mai ti sarebbe venuto in mente di costruire delle palafitte. Nota mentale: quando inizi a pensare che tu “ad una certa età” non facevi certe cose vuol dire che stai invecchiando.
E cammini.
Le gambe vanno da sole, sembrano non volersi fermare, lo sguardo fisso avanti, non riesci a vedere la fine della spiaggia ed è una cosa che ti intriga, che ti fa venir voglia di continuare, ancora ed ancora, per vedere fin dove sei in grado di arrivare.
Cominci a cantare, neanche a voce tanto bassa, che ti guardino pure storto: sei un informatico grande, grosso ed in scazzo totale, una combinazione estremamente pericolosa, per cui alla larga…
Canti di tutto, tutto ciò che ti viene in mente… certo che se ti venisse in mente qualcosa di più allegro non sarebbe male, ma è inutile, a te le canzoni devono nascere da dentro, non puoi costringerle… e poi alla fin fine il Baluba Shake in questo momento non sarebbe adattissimo, no?
E cammini.
C’è chi pensa di essere in Sicilia e decide di fare il bagno ad ottobre, mentre c’è chi vuole fare un test di biologia sul proprio corpo provando a far crescere delle muffe ad hoc sotto i dieci strati di vestiti che indossa; c’è un cane che ha deciso che un altro suo conspecifico deve soddisfare i suoi desideri repressi, mentre il padrone del secondo non è molto dell’opinione: e lasciali fare, magari si divertono…
Arrivi al molo.
Già, quel molo che sembrava tanto lontano: ma da quanto stai camminando? Non lo sai neanche tu e sicuramente non ti importa. Una parte di te vuole andare avanti, un passo dopo l’altro, non vuole che questo limbo finisca, ma sai bene che se non ti fermi ora probabilmente non ti fermerai più. E sai altrettanto bene che una parte di te lo vorrebbe davvero: ti ci vedi, come in quel film, dopo mesi di cammino a fermarti ed a dire “sono un po’ stanchino”… ma oggi, per un soffio, vinci la tentazione.
Ti incammini all’estremità del molo, sembra ci sia un bar, magari una bevutina ci potrebbe anche stare.
Ti tieni la sete, ovviamente il bar è chiuso: sei ad ottobre, ricordi?
Poco male.
Ti fermi a guardare il mare. Sul molo. Ti sembra di sentire la voce di Otis Redding e non sai se sorridere o preoccuparti per la tua sanità mentale, ma dato che quest’ultima è sempre più un’opinione opti per un sorriso di quelli che la sanno lunga… “Sittin’ in the mornin sun… I’ll be sittin when the evenin’ come… Watchin’ the ships roll in… Then I watch ‘em roll away again… I’m sittin’ on the dock of the bay watchin’ the time roll away”. E pensi “Otis, vecchio mio, in questo momento vorrei davvero stringerti la mano.”.
Sarà il caso di tornare.
O meglio di ricominciare a camminare nell’altra direzione, perché di tornare non hai alcuna voglia e se ti gira proseguirai ben oltre dove sei partito.
Di nuovo in marcia.
La mente si riempie e si svuota allo stesso ritmo dei tuoi passi.
Gli amici (o meglio, chi si definisce tale), il lavoro, tuo padre, il passato, il futuro…
Chissà perché la strada di ritorno è sempre più veloce di quella all’andata: va bene la relatività, ma qui si rasenta il ridicolo.
Ti fermi vicino ad una torretta di salvataggio, ti arrampichi, ti siedi e ricominci a guardare.
Lui. Il mare. L’unico elemento che riesce sempre a farti sentire a casa, anche se quando c’è lui tu non sei mai a casa. Una delle tante contraddizioni a cui non fai più caso.
Il mare. L’odore, il suono, l’umidità che si posa sulla pelle, sembrano le uniche cose in grado di donarti una certa pace, l’hanno sempre fatto e speri che lo facciano sempre; una pace fatta di estraniazione, fatta di un silenzio che solo in questo caso non ti opprime, di una solitudine che solo ora non senti tale.
Eppure ti scopri a pensare che ti piacerebbe da impazzire che da dietro la torretta arrivasse qualcuno per te… già, qualcuno, magari chi meno ti aspetteresti… ti immagini la scena,  una persona ti è venuta a cercare, non ti ha trovato e ti ha inseguito fino ad arrivare dove sei ora, happy ending e titoli di coda… peccato che di solito queste cose capitino solo nei film e neanche tanto di qualità.
Va beh, ti distrai con la varia fauna che ti passa sotto gli occhi: un tizio dalla stazza che fa invidia alla tua ha deciso di farsi un giro a cavallo in acqua, mentre un cane delle dimensioni dello zoccolo dell’equino abbaia tutto il suo dissenso, ovviamente a debita distanza, tornando poi dai suoi padroni con l’aria di un eroe di ritorno dalle crociate; una coppietta passeggia abbracciata portando al guinzaglio due splendidi Dobermann, peccato per le orecchie, non ti spiacerebbe tagliarle anche ai padroni, tanto per equità; marito e moglie portano in giro i loro due gemelli, avranno sei anni e saranno segnati a vita dalla “sindrome dei vestiti identici” che sembra aver contagiato gli scaltri genitori… ti chiedi se per riconoscerli a questo punto abbiano messo loro un anello alla caviglia, ma eviti di indagare.
La brezza si sta raffreddando, non è tardi, ma ad ottobre non puoi pretendere di più.
Riprendi la tua strada, troppo velocemente per i tuoi gusti ed a momenti non ti accorgi di essere arrivato al tuo punto di partenza.
Non vuoi andartene. Non vuoi perdere questa pace. Lo guardi un’ultima volta. Lui sa che tornerai e ti aspetterà. Tu sai che lo cercherai.
Sei di nuovo sull’asfalto e quel limbo che ti aveva coccolato si dissolve velocemente come la sabbia dalle tue scarpe.
Rimetti in moto, riaccendi lo stereo.
Domani ci risei.
Merda.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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