Quasi 2019

Ore 13.29 del 31 dicembre. Miss Sauron studia. Io, dopo aver sfornato la focaccia per stasera, sono in poltrona a lavorare al romanzo. Sasha, come ormai è suo solito, è sdraiata tra le mie gambe. Dorme protetta e il fatto che si senta protetta con me è una delle gioie del 2018. Insieme a Sheppard che da qualche giorno viene a dormire la notte appoggiato a me. Insieme a Sissi che magari è meno coccolona dei primi giorni ma che a letto è sempre lì con me.

Il 2018 era iniziato con la gestione del dolore, è proseguito con la decisione che non potevo lasciarmi andare ed è finito con due pesti e un panzone che sono ormai famiglia.

Ore 13.31. Tra un paio d’ore arriveranno amici che non vedo da troppo. Un giretto in Gae Aulenti e poi capodanno con loro e altri due affetti fondamentali. Manca qualcuno, purtroppo, ma si fa quello che si può. Mangeremo tanto. Cazzeggeremo. Faremo gli scemi. Cioè saremo noi nelle solite condizioni ma giusto per qualche ora in più. Com’è giusto che sia.

Io, il Capodanno, lo vivo sempre combattuto. Samhain è il mio, ma comunque vedere cambiare quel numero fa un po’ di effetto, quanto meno mentale. Che non significa realmente nulla, lo sappiamo, che alla fine oggi è solo lunedì (e anche questo non significa nulla) e domani martedì (men che meno, ma almeno domani sera c’è lo speciale del Dottore). Eppure sì, un po’ ci si pensa.

Che razza di anno è stato il 2018? Di guarigione, senza dubbio. Di cercare di curare le ferite. Di pulizia. Dell’imparare che la gente va tenuta vicino se ti fa bene, altrimenti aria. Ma tanta aria. E la bellezza di rendersi conto di sentirsi più leggeri togliendo certi pesi è incomparabile.

È stato l’anno dello scrivere tante recensioni, della redazione, delle nuove amicizie nate per pura e semplice affinità. Della stanza privata in cui io, Giuseppe e Gabriele ci confrontavamo relativamente agli episodi di Doctor Who sentendoci a casa.

È stato l’anno dello sblocco definitivo del romanzo grazie alla lettura di On Writing, delle prime vacanze al mare dopo anni, delle quattro volte a Londra, di Rory Kinnear e Ian McKellen e Katie Melua. Delle conferme e delle sorprese, in positivo e negativo, come ogni anno prima e ogni anno che verrà.

Transizione. Se mai questa parola è stata corretta, forse è relativa a quest’anno. Non ha avuto natura, ma ha posto basi. Ha assestato. Ha fatto pulizia. Serve anche quello, per poi costruire.

Certo, non guardando intorno a noi. Se guardo intorno a noi, allora è stato veramente merda pura e il 2019 rischia di essere pure peggio. Cerco di non pensarci, non per dimenticare, ma per aggrapparmi a ciò che di bello riesco a trovare.

E il bello c’è. Ci sono gli amici rimasti, quelli nuovi, quelli che erano conoscenze e ora sono legami o lo stanno diventando. Ci sono Miss Sauron, Pucca, Sissi, Sasha, Sheppard. C’è la scrittura. C’è il sentirmi sempre più me stesso, imparando a essere sempre meno disposto a mediare per il gusto di farlo. Ci sono i no sempre più no, così che i sì valgano ancora di più. C’è lo stare imparando a fare solo se ne hai voglia e bisogno.

Non so come sarà il 2019, nessuno ovviamente può saperlo. Non so neanche cosa augurarmi, perché non è detto che ciò che desideri e ciò che ti serve siano la stessa cosa. Spesso non lo sono. E se lo sono, non è detto poi siano come li desideravi.

Ciò di cui ho voglia è costruire. Crescere. Smettere di “tamponare e risolvere” e tornare a fare e creare. È strano pensare che l’anno inizierà probabilmente con la fine del romanzo: se anche non dovesse essere per il 6, come mi sono sfidato a fare, sarà per poco dopo. Sto scrivendo l’ultimo capitolo, poi mancherà l’epilogo. Dopo ci sarà rilettura, editing, assestamenti capaci di portare via altri mesi, ma quella prima fase sarà terminata dopo anni. E se non è un buon auspicio per l’anno nuovo questo, non so cosa sia.

Ore 13.52. Ieri sera eravamo al cinema a vedere Spider-Man. Uno dei film più belli visti da tempo eppure quasi visto per caso. È anche questo un bell’augurio, no? Che a volte la bellezza ci capiti così, senza quasi cercarla, solo perché abbiamo deciso di regalarci due ore di storie.

Ecco, per il 2019 io posso augurarvi questo. Cercate la bellezza. Riconoscetela. Fatela vostra. Ho un’amica, Micol, una persona dal cuore speciale che anno dopo anno mi mostra quanto si possa riuscirci: non so se ha idea di quanto la ammiri per questo, di quanto sia rapito dalla sua capacità di trovarla, farla sua, condividerla. È un dono prezioso per il quale so per certo che ha lottato e lotta costantemente e che, una volta fatto suo, ha deciso di condividere perché la bellezza condivisa non si divide, ma si moltiplica.

Ecco, io vi auguro questo. Ci serve. Ci serve la bellezza soprattutto ora, in questo momento di buio e orrore e oscurità in divenire. Ci serve per ricordarci chi siamo, per essere vivi, per stare bene. Lo dico a voi, lo dico in primis a me che troppe volte mi faccio sopraffare dallo schifo.

“Il contrario della guerra non è la pace, è la creazione” diceva il buon Jonathan Larson e aveva tanto ragione da far pensare di essere stupidi a non averci pensato. Non cerchiamo serenità, cerchiamo bellezza. E se non la troviamo creiamola noi. Condividiamola. Regaliamola. Che prima o poi le torce torneranno a splendere, ma noi per primi dobbiamo tenerle accese. Anche una alla volta.

Che il 2019 sia bellezza per tutti noi.

13.59. Tempo di scrivere ancora qualche parola nell’ultimo capitolo del romanzo, che non si concluderà certo da solo. Buon anno a tutti. Ci servirà.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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