54. In nome della Giustizia

man behind bars
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Punire.

È una parola che in qualche modo tutti prima o poi accarezziamo.

Punire chi ha commesso un reato, punire un bambino che ha commesso un errore, punire – ne parlavo qualche post fa in riferimento alla cultura dello stupro – una donna che non sa stare al proprio posto o che semplicemente esiste.

Il concetto di punizione – lasciatemi generalizzare, so che ci sono mille eccezioni – piace ai nostri istinti, a quelli che ci fanno reagire a un’ingiustizia reale o percepita: è solleticante l’idea di rivalsa che ne consegue; sì, c’è stato un torto, ma quanto meno ci sarà una ripercussione. Quanto meno chi l’ha fatto se ne pentirà. Che soddisfazione.

E poi siamo cresciuti vedendo film e serie tv in cui auspicabilmente chi commette nefandezze prima o poi le paga sonoramente, viene punito, e il senso di catarsi ci piace molto. Moltissimo.

Ma può una società civile davvero fondarsi sul concetto di punizione? O, quanto meno, di un certo tipo di punizione?

Oggi mi è stato girato questo articolo e una parte di me si è vergognata, perché istintivamente anch’io ho semplicemente gioito per quella sentenza: come si può, sempre in modo istintivo, non farlo? Come dice Giulia Blasi stiamo parlando della vittima perfetta e dei colpevoli perfetti. Volevo venissero puniti. Sono stato contento di sapere che lo saranno.

Ma davvero possiamo fermarci qui?

Davvero ci basta sapere che chi ha commesso quell’azione sarà espulso dalla società per tutta o buona parte del resto della sua vita?

Sono semplicemente mele marce in un mondo perfetto e funzionante che vanno estirpate come tumori?

Ripeto, istintivamente risponderei di sì, che quegli individui non meritano pietà per ciò che hanno fatto, ma questo equivale a dire che esiste il male congenito, significa affermare che gli individui sono cattivi o buoni senza possibilità di recupero e redenzione.

È davvero quello che vogliamo? Perché quello che stiamo dicendo è che a questo punto si potrebbe arrivare a capire chi potrebbe commettere un crimine e magari finire per punirlo prima: tanto se esiste il male congenito saremo sicuramente prima o poi in grado di identificarlo, no?

Blasi nel suo articolo cita Lombroso. Sono stato al museo del Lombroso a Torino e l’unica sensazione che ho avuto leggendo le descrizioni e le convinzioni su cui erano basate le sue teorie è stata repulsione. Repulsione completa e totale.

Fa gola, eh? Sarebbe bello pensare che il male sia identificabile a prescindere, ma non è così.

Blasi citava Lombroso, dicevo, io cito futuri o presenti distopici come quello narrato in Minority Report o nel più recente Moon Knight: in entrambi si condannano persone per crimini non ancora commessi. E in entrambi se ne sottolinea l’abominio.

Ma quindi c’è una contraddizione.

Allora se non esiste il male congenito, vuol dire che le responsabilità non sono – solo – degli individui. Sono di un ambiente, di una società, di un’educazione. Quando parlavo di cultura dello stupro dopo la lettura di No Significa No dicevo del fatto che anche ciò che viene considerato innocuo è un pericolo, perché genera un substrato su cui poi si costruisce il resto. Questo vale per tutto. Vale per il fascismo che cita Blasi, vale per la violenza, vale per il razzismo.

Se come società ignoriamo il diffondersi di queste condizioni, il punire i singoli porta soltanto a lavarci la coscienza con un po’ di acqua profumata, niente più di questo.

La morte di Willy Monteiro Duarte è stata terribile e i colpevoli devono finire in carcere, assolutamente sì. Ma non sarebbe più giusto anche per la memoria del giovane ucciso che questi individui fossero rieducati, aiutati a comprendere, a pentirsi e redimersi? E, al contempo, non sarebbe fondamentale cercare di andare a disinnescare i meccanismi che hanno creato individui del genere?

A che ci serve, se non alla passata di acqua profumata, sapere che quei tre passeranno decenni in carcere quando altri trenta, trecento, tremila li seguiranno?

Non voglio sembrare migliore di quello che sono, mentre scrivo continuo a pensare all’orrore di quella morte e il mio istinto chiederebbe solo il sangue – figurato, certo, ma tant’è – degli omicidi.

Ma voglio cercare di essere meglio di così.

E voglio credere che la società a cui contribuiamo debba essere meglio di così.


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Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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