Tick, Tick… Boom (o Della Perdita)

(c) Netflix

Sono reduce dalla visione su Netflix di Tick, Tick… Boom, un film di Lin Manuel Miranda con protagonista uno strepitoso Andrew Garfield che, trasponendone il musical omonimo, racconta sostanzialmente una parte della vita di Jonathan Larson, l’autore di Rent morto a 35 anni la sera prima della messa in scena dell’opera che lo consacrò.

Chi segue questo blog dall’inizio o, semplicemente, mi conosce abbastanza sa del mio legame con Rent, che mi porto ormai dietro da almeno quindici anni, quindi può immaginare lo stato d’animo con cui mi sono approcciato al film.

Non è mia intenzione recensirlo, qui: secondo me merita di essere visto, ma se non si conosce l’opera di Larson potrebbero non essere chiari i tanti riferimenti anche al suo futuro presenti nelle due ore di racconto.

Qui mi interessa ragionare su altro.

Io mi sono sempre chiesto perché Rent fosse così importante per me: certo, è una splendida storia e ha una musica coinvolgente, ma può bastare per essermi rimasto così dentro?

Credo di no. Credo che ciò che davvero ha tatuato quel musical in me è il modo in cui racconta il rapporto coi dolori, con la perdita, con la paura di non lasciare il segno. E Tick, Tick… Boom fa lo stesso e, per certi versi, lo fa in modo ancora più doloroso, perché i personaggi di Rent sono inventati – seppure arrivino a essere Avatar di aspetti di persone passate nella vita di Larson – quelli di Tick, Tick… Boom sono reali: le loro paure, i loro dolori, il loro stesso destino sono reali e conosciuti.

Ho pianto in vari momenti guardando questo film e io piango pochissimo davanti a film, serie o libri. Ho pianto perché ho sentito quelle paure, perché ho vissuto quei pensieri, perché ho percepito quelle perdite.

E la perdita è ciò che ancora rappresenta il mio più acerrimo antagonista, soprattutto in questo mese.

Dicembre è il mese della perdita, ormai. Materiale o emotiva. Mio padre. Stitch. La malattia di Zen. La mia possibilità di camminare. Gli scampoli di fiducia verso un’amicizia ormai perduta. Il che non significa che non ci siano ricordi belli nello stesso mese, in primis il matrimonio con Manu, che resta tutt’ora il ricordo di uno dei giorni (se non IL giorno) più belli della mia vita. Ma il problema sta proprio nella differenza tra ricordi belli e perdite: i ricordi belli lasciano un calore che col passare del tempo diventa malinconico, le perdite lasciano solo e unicamente traumi che si sovrappongono.

Quando mi fermo a pensarci mi rendo conto di aver vissuto un numero di perdite che mi basterebbe anche per una prossima vita: non solo – anche se già sarebbero sufficiente – le persone amate morte, non solo i compagni di vita non umani, ma anche quelle perdite più simboliche o emotive. Le perdite di persone per la chiusura dei rapporti. La perdita dovuta alla fine di un rapporto (anche se l’hai deciso tu, non sempre ci si rende conto di quanto sia comunque una perdita da metabolizzare). La perdita di un ruolo nella vita di qualcuno, qualunque esso sia.

Qualche sera mi si è scatenato un trigger legato alla perdita. La causa non è importante, ero fuori con amici ed è successo anche se non aveva oggettivamente nessun motivo per accadere: il bello dei trigger è che non hanno bisogno di motivazioni reali, basta un’impressione, una sequenza di parole, di azioni, a volte anche un odore e si scatenano e tu ne vieni travolto e basta. Fatto sta che si è scatenata e la reazione istintiva è stata che il mio rettile interiore fosse in modalità “combatti o fuggi” e che rimanere seduto al tavolo cercando di fare finta di nulla sia stato un dolore che non mi aspettavo e che mi ha segnato anche nei giorni seguenti. Tutt’ora sto cercando di gestirlo, per quanto possa sembrare assurdo, perché quello è esattamente il tipo di trauma con cui combatto. La perdita. Ciò che c’era e non ci sarà più. Chi c’era e non ci sarà più. Cosa si era e non si sarà più. Ed è uno degli elementi che Larson tratta in Rent e in Tick, Tick… Boom.

È difficile spiegarlo, ma per quanto si sappia che tutto è destinato a finire in un modo o nell’altro, per quanto aver vissuto tante perdite mi porta a essere consapevole della loro costante probabilità, proprio per questo la loro ombra, la paura di riviverle, ma anche l’empatia verso quelle altrui riescono a ferirmi anche pesantemente, nella loro potenzialità. Se vedo un video in memoria di un animale scomparso, io piango. Se si aggiunge un altro animale che ne senta la mancanza singhiozzo direttamente. Il mio sovraccarico fa sì che io non riesca a tollerare l’ingiustizia della perdita di qualcosa di bello. Per fortuna sto pian piano imparando a gestire la parte strettamente legata alla paura e sicuramente non mi impedisco di vivere qualcosa di bello per timore della perdita, ma quella cicatrice è lì e certe volte, come l’altra sera, fa più male del previsto.

Ma di corda toccata da entrambe le opere legate a Rent ce n’è anche un’altra: ciò che lasciamo dietro di noi. Un tema che lo stesso Larson ha inserito espressamente in Rent con la trama di Roger e con One Song Glory, ma che è tema portante anche di Tick, Tick… Boom. Cosa resterà di noi dopo? Quando non ci saremo più, quando saremo spariti, quando saranno solo le nostre tracce a parlare di noi, cosa resterà?

Ovviamente chi ha figli può avere una sorta di garanzia in più: la sua memoria (in caso di famiglie non disfunzionali, ovviamente) verrà quanto meno mantenuta dalla sua progenie e da chi verrà dopo, forse. Ma togliete la famiglia: cosa resterà di noi? Chi si ricorderà? Che traccia avremo lasciato? Chi piangerà per noi, chi sentirà la nostra mancanza? Un po’ lo stesso tema che fa di Coco, della Disney, un film devastante.

Tick, Tick… Boom è il suono di quell’orologio che conta fino al momento dell’esplosione. È il suono del tempo che passa, dei minuti davanti a te che sono sempre di meno, di quel pensiero che può devastarti: cos’ho fatto col tempo che avevo? A cosa è servito ciò che ho fatto e vissuto. Su quali vite ho lasciato un minimo di impronta?

Larson aveva il pensiero del suo trentesimo compleanno, io a 17 anni in più lo vivo in modo ancora più travolgente, sapendo che quasi sicuramente è più lunga la vita alle mie spalle di quella davanti a me. E il pensiero che lo stesso Larson non abbia avuto modo di vedere gli effetti della sua creazione, che sia morto il giorno prima di ottenere quanto meno un assaggio di ciò che sarebbe arrivato a seguire, mi devasta.

E mi fa domandare cosa, davvero, lascerò dietro di me alla fine.

Prima del Boom.


Also published on Medium.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Plugin WordPress Cookie di Real Cookie Banner