The War of the Worlds: la differenza tra aspettative e risultati

Uno dei romanzi di fantascienza più famosi e adattati è sicuramente La Guerra Dei Mondi di H.G. Wells, la cui fama ha – come spesso accade – di molto superato il numero di persone che hanno effettivamente letto il testo originale, affidandosi per lo più alle numerose versioni susseguitesi negli anni, a partire dalla famigerata (e trasformatasi in leggenda metropolitana) versione radiofonica a opera del quasi omonimo Orson Welles del 1938.


Sarebbe quasi banale affermare che la storia è ben conosciuta, ma sarebbe al contempo superficiale, considerando i tanti dettagli che raramente compaiono nelle varie versioni, ignorati o modificati a favore di un determinato pubblico. È avvenuto così per il succitato adattamento radiofonico, che ha in primis spostato le vicende dal Regno Unito al Nord America, ed è avvenuto in tutti i successivi fino al più famoso film di Steven Spielberg del 2005, che ha sostanzialmente rielaborato l’intera vicenda, mantenendone i punti chiave, riscrivendo alcune scene fondamentali e aggiungendo parecchi elementi assenti nel testo originale.

Non stupirà, quindi, che quando BBC ha annunciato un nuovo adattamento del romanzo, la reazione di chi scrive è stata contrastante: da un lato non era certa la necessità di un’ennesima versione, dall’altra le prospettive erano potenzialmente interessanti; il punto centrale era infatti rappresentato dalla declamata intenzione di tornare al testo originale, riportando la vicenda all’Inghilterra degli inizi del secolo scorso e fornendone una resa più fedele.
Il risultato si è rivelato ben lungi dall’essere quanto promesso.

Se lo spostamento temporale è quello anticipato, la fedeltà al testo non solo lascia a desiderare, ma cede il posto a soluzioni narrative quanto meno opinabili.
La prima parte della miniserie è forse la più fedele o, meglio, quella che meno si discosta, ma introduce comunque forti cambiamenti, non ultima una trama romantica che finirà per essere quasi preponderante nel corso dello svolgimento.
Sebbene parte dei personaggi siano estrapolati o adattati dal testo originale, il loro utilizzo viene quasi del tutto stravolto, lasciando ampio spazio alla Amy di Eleanor Tomlinson, la cui controparte cartacea è, a essere generosi, ben meno incisiva: pur non essendo il cambio di protagonisti e di svolgimento un difetto di per sé, di sicuro lascia perplessi quando questo avviene in un adattamento annunciato come fedele al materiale originale.


Partendo da questa premessa, l’ambientazione di inizio ‘900 è di per sé molto ben resa sia per quanto riguarda costumi e fotografia che la descrizione della società e delle mentalità del tempo: colpisce positivamente l’aver posto l’accento sull’arroganza della classe politica inglese dell’epoca, convinta della superiorità del proprio impero su qualunque opponente, terrestre o meno.

Il pathos legato all’iniziale arrivo e successivo sviluppo della minaccia aliena è realistico e fornisce un’interpretazione più fedele a quella raccontata da Wells, dove la sensazione di impotenza dell’uomo comune è più opprimente rispetto a soluzioni ambientate più avanti nel tempo.
È il modo di gestire l’evolversi delle vicende che suscita non poche perplessità: il pathos su menzionato si sgonfia velocemente dopo la realizzazione della minaccia e il modo in cui vengono mostrati gli attacchi dà l’impressione che siano stati inseriti perché non si poteva fare diversamente. La sceneggiatura è infatti più a suo agio nel concentrarsi sui rapporti umani, ma pecca nella gestione della minaccia aliena, che funziona solo quando distante e accennata mentre perde efficacia quando viene posta maggiormente sotto i riflettori.


Sono due i fattori che lasciano maggiormente insoddisfatti e si concentrano entrambi nella seconda parte della storia, quella che si prende maggiori libertà rispetto al materiale originale, molto più di ogni adattamento visto finora.
Se nel romanzo gli alieni finiscono per ammalarsi per i virus presenti nell’aria e morire perché non fisicamente adattati, nella miniserie si decide di renderli antropofagi e far sì che responsabile della loro dipartita sia la febbre tifoide presente nei cadaveri.
La conseguenza di tale scelta è che l’intera fase di (auto)sconfitta del nemico avvenga in modo molto più lento e meno efficace, diluendo inutilmente la narrazione, che perde così attrattiva.

Non solo, mostrare visivamente gli alieni è un grosso errore, perché ne sminuisce la minaccia, in particolar modo se – come avviene qui – vengono ritratti come creature sostanzialmente bestiali scordandosi che si tratta di una razza evoluta in grado di volare tra pianeti del sistema solare.

La scelta di cambiare il modo di avvelenamento degli alieni è funzionale alla seconda scelta narrativa che non abbiamo gradito: la volontà di avere una linea temporale futura che si intrecci con la narrazione principale. Mentre tutte le versioni della storia originale e dei suoi adattamenti si concentravano sull’arrivo della minaccia, la lotta e la vittoria passiva degli umani nel tempo presente, stavolta ci vengono mostrati strascichi che non solo impediscono di percepire l’entusiasmo della salvezza improvvisa, ma aggiungono elementi di trama sostanzialmente inutili che depotenziano la vicenda originale invece di sostenerla.


L’elemento chiave della Guerra Dei Mondi è sempre stata la vittoria imprevista con la conseguente speranza di ricostruzione, mentre questo adattamento – spostando in avanti parte della conclusione – preferisce focalizzarsi su una maggior disperazione e una salvezza in extremis che, però, non fornisce quel senso di liberazione necessario e si perde in analisi filosofiche che lasciano il tempo che trovano.

Non è chiaro se tale scelta sia stata dettata da una vera volontà narrativa mal risposta o dalla necessità di riempire tre ore di miniserie con una storia che è sempre stata raccontata in un massimo di due, fatto sta che il risultato lascia a desiderare.
Si salvano, come dicevamo, l’ambientazione, la fotografia, i costumi, le dinamiche umane e, soprattutto, l’interpretazione di Eleanor Tomlinson che, trasformata in protagonista, regge bene sulle proprie spalle il peso del ruolo.

Troppo poco, però, per promuovere un adattamento che poteva essere la lettura definitiva del capolavoro di Wells e si è invece rivelato un’occasione persa.


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Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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