Ristampa n. 1: 15 e 30

Un blog ha il vantaggio, rispetto a tanti altri strumenti, di essere una sorta di memoria storica. In qualunque momento, se uno vuole, può andare a rileggere post anche molto vecchi (qui, ad esempio, si può risalire fino al 2006) e quindi farsi un’idea dell’evoluzione dei contenuti e, ovviamente, di chi quei contenuti li ha generati.
C’è da dire, però, che potenzialità ed effettiva messa in pratica sono cose ben diverse e per forza di cose parecchio distinte. Di solito questo non sarebbe un problema, non pretendo certo che chi già impiega il suo tempo per leggere i post giornalieri ne investa molto di più a fare recuperi storici, ma ci sono un particolare tipo di post che mi spiace finiscano per non essere letti da chi è arrivato negli ultimi giorni, mesi o anche anni: i racconti.
Gli utenti più smaliziati sapranno che in testa a queste pagine c’è un menu (Writing) da cui è possibile accedere non solo ai racconti, ma anche ai diari di viaggio e alle strisce, ma scommetto che la maggior parte non ci ha fatto caso (senza contare, ovviamente, quelli non particolarmente interessati).
Per questo motivo ho pensato di dedicare un giorno alla settimana (probabilmente sarà il sabato) alle ristampe, ovvero a post che ripubblicano (uno alla volta e uno per uno, in ordine cronologico di nascita) i racconti che negli anni ho scritto e pubblicato qui sopra. Non quindi un link al post originale, ma un nuovo post a tutti gli effetti che riproporrà il racconto.
Non è un modo di autoincensarmi, sia chiaro, ma semplicemente un desiderio di condividere qualcosa a cui tengo veramente.
Si inizia quindi stasera, col primo racconto che abbia mai scritto, lievemente revisionato per l’occasione.
L’anno era il 2006, l’ispirazione fu una vecchia canzone degli Ultravox; lo stile sicuramente acerbo, ma era il primo e gli sono molto affezionato.
Spero possa ancora piacere.

15.30
Non ricordo di essere mai tornato a quest’ora, anche se lei spesso mi ha rimproverato per questo: “Possibile che tu non riesca a prenderti un pomeriggio libero? Neanche di venerdì? Mai?”.
(Corri, idiota)
E io niente, troppo preso dai “doveri”, troppo sicuro che avremmo avuto tempo.
Già.
Tempo.
Ero convinto di avere sempre tempo, ma non avevo mai tempo per lei.
(Perché sei un idiota)
Per lei mai abbastanza.
Lei poteva aspettare, lei aspettava sempre.
(Sei fiero di te, ora? Lo sei? Corri, idiota, corri)
Che stronzo.
Me l’ha detto tante di quelle volte che ho perso il conto.
Aveva ragione.
Ogni volta.
Solo che ero così stronzo da non capirlo, da offendermi, da chiamarla egoista.
(Era lei l’egoista, vero? Era lei a non pensare abbastanza a te, vero?)
Che stronzo.
(Corri stronzo corri stronzo corri stronzo corri stronzo corri stronzo corri stronzo)
Mai visto così poco traffico. Normale, data la situazione.
(Normale? Stai scherzando, vero? Corri!)
Farò in tempo?
Devo fare in tempo.
Ti prego, tu ed io non abbiamo mai avuto molti contatti, ma ti prego, se esisti, visto quel che mi stai facendo, quello che ci stai facendo, ti scongiuro, fai che arrivi in tempo.
(Ti prego ti prego ti prego ti prego ti prego ti prego ti prego ti prego ti prego ti prego ti prego ti prego ti prego ti prego)
Merda.
Non so neanche quanto manca.
Tra pochi minuti sarò arrivato, ma se non avessi pochi minuti?
(Ti prego, fai che faccia in tempo, ti prego!)
Non posso neanche chiamarla, il cellulare ha smesso di prendere quasi subito.
C’è forse da stupirsi?
Abbiamo tutti troppi conti in sospeso, tutti da saldare.
Ora.
Tutti bravi, ora.
(Soprattutto ora, vero idiota?)
Non è giusto.
(Ti prego…)
Ero sicuro ci fosse tempo.
(Ti prego… almeno questo…)
Ne ero sicuro!
(Ti prego… fai che abbia il tempo…)
Avevamo la vita davanti.
E ora questo!
Non è giusto!
Perché?
Abbiamo ancora tanto da fare, da vivere, perché?
(Perché? Perché? Perché? Perché? Perché? Perché? Perché?)
Devo dirle ancora tante cose, tutte quelle per cui ci sarebbe stato tempo.
(Idiota)
E ora potrebbe essere tardi.
Ora è tardi.
(Dio, ti prego, NO!)
Perché? PERCHÉ?
Arrivato.
(Corri!)
Lascio la macchina aperta, nel caso serva. Ma anche chi se ne frega a questo punto, vero?
(Corri!)
Salgo in casa.
(Corri!)
La porta è aperta.
O mio Dio.
E se non ci fosse?
(No. Non questo. No!)
Se fosse in quella coda che ho visto nella direzione opposta?
(Non farmi questo!)
La chiamo.
(Dove sei?)
Niente.
Sudo freddo
Urlo il suo nome con forze che non sapevo di avere.
(Dove sei?)
Aspetta.
Un rumore sommesso.
Lo seguo.
Eccola.
Ai piedi del letto, singhiozzante.
(Sembri così piccola…)
Mi inginocchio e la stringo forte.
“Shhhhh… Amore mio, sono qui… Sono qui…”
(Grazie grazie grazie)
“Sei arrivato? Davvero? Ma… Ma… Io credevo… Ho sentito la radio… E ho avuto paura… E tu non c’eri… E non riuscivo a chiamarti… Dicevano che le strade erano bloccate… Non c’eri… Ero sola… Avevo paura… Dio mio… HO paura….”
“Lo so, lo so, piccola mia, ma sono qui ora… sono qui”
(Grazie grazie grazie)
Si calma un po’ a fatica.
“E ora cosa facciamo?”
La guardo.
La bacio.
Piangiamo.
Ci amiamo.
Come fossimo affamati.
Come fosse la prima volta.
Come tutto dipendesse da questo.
“Scusami… di tutto… scusami… avevi ragione tu… hai sempre avuto ragione tu…”
Scuote la testa, non vuole sentire scuse.
Non servono.
“Baciami e basta, ti prego…”
La bacio ancora…. Le nostre labbra sanno di lacrime…
“Ti amo”
“Ti amo anch’io. Ti ho sempre am…”

14.30
“INTERROMPIAMO LE TRASMISSIONI PER COMUNICARE LE ULTIME NOTIZIE:
LA SITUAZIONE INTERNAZIONALE E’ PRECIPITATA.
A NULLA SONO VALSI I TENTATIVI DELL’ONU PER FAR RIMANDARE L’ULTIMATUM.
UN ATTACCO SU VASTA SCALA SEMBRA SIA STATO LANCIATO CON OBIETTIVO LA CAPITALE.
SIAMO IN ATTESA DI ULTERIORI CONFERME, NEL FRATTEMPO LE FORZE DELL’ORDINE PREGANO LA POPOLAZIONE DI NON FARSI PRENDERE DAL PANICO.
A BREVE ULTERIORI COMUNICATI.”

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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