La ragazza dello Sputnik
Di nuovo mi risulta veramente difficile scrivere una recensione.
Murakami è un autore che non riesco a vivere con distacco, col quale, ogni volta che lo leggo, si instaura un legame talmente intimo e profondo da non permettermi di essere obiettivo; o forse, proprio perché si instaura questo legame posso dire di esserlo ancora di più, dato che raramente mi capita con altri autori.
Fatto sta che “la ragazza dello sputnik”, come già “il paese delle meraviglie” in precedenza, riesce a suonare corde emotive anche ben nascoste come se un pianista stesse suonando una melodia meravigliosamente composta.
Abbiamo qui una storia sicuramente più “piccola” come ambientazione, più intima, più modesta: ma si tratta solo, appunto, dell’ambientazione, perché il tipo di sentimenti che sfiora sono quelli più veri ed eterni; l’amore incondizionato, l’amicizia, la passione, la solitudine.
Abbiamo una voce narrante, di cui conosciamo solo l’iniziale del nome, innamorato di una sua cara amica, una ragazza che non ha mai veramente vissuto, che si è sempre rifugiata dietro il voler scrivere scordandosi che per poter scrivere veramente, per poter comunicare realmente, bisognerebbe prima aver vissuto; abbiamo questa ragazza che incontra per la prima volta la vita reale nelle fattezze di una donna più vecchia ed, inevitabilmente, se ne innamora: inutile chiedersi se si innamori realmente di lei o di un’immagine, fatto sta che perde la testa e si trasforma fisicamente e mentalmente solo ed unicamente per lei e grazie a lei.
Ma la lei in questione, il terzo membo di questo trio, è una donna incompleta che, nel proprio passato, ha affrontato una difficile prova; poca importa se questa prova sia stata con se stessa, con altre persone o col mondo intero, poco importa se sia avvenuta nel mondo reale, in quello dei sogni od in entrambi: quel che conta è che ne è uscita traumatizzata, sconfitta, in fuga, rinunciando a vivere appieno e trasformandosi in un’ombra di ciò che era, un’ombra che, in quanto tale, non può donare ciò che non ha, ciò che si è lasciata alle spalle, un’ombra che finisce per trasportare con sé chiunque tocchi nel profondo.
Come Sumire, tanta affamata di vita da riuscire a percepire ciò che c’era oltre l”ombra e che ormai è sparito.
Come, in parte, la voce narrante, tanto innamorato di Sumire da non poter rimanere rapito anche dalla sua amata, ma abbastanza forte da non farsi trascinare… non del tutto almeno.
Non vado oltre per non rovinare la lettura a nessuno, posso solo dire che si tratta di un libro da vivere e ricordare che, come già il “paese delle meraviglie”, è un romanzo in cui non conta veramente dove e come si va a finire, quel che conta è il viaggio che facciamo per arrivarci.
Un viaggio per il quale, per quanto mi riguarda, è valsa veramente la pena.
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🙂