Era gennaio 1991, avevo 17 anni, compravo tutto ciò che Star Comics – il principale editore Marvel in Italia del periodo – pubblicava. L’Uomo Ragno, che si chiamava ancora così, attraversava una fase particolare: team creativi non particolarmente appassionanti, disegni mediocri, storie non memorabili.
In quell’inizio 1991, però, iniziò una saga di sole quattro storie che non immaginavo gli impatti soprattutto indiretti che avrebbe avuto sulla mia vita di lettore (e non solo).
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Era “La morte di Jean Dewolff/la saga del Mangiapeccati”. Una storia dura, cruda, in cui uno dei personaggi di contorno del cast del tempo veniva ucciso in modo freddo, spietato e in cui lo sviluppo stesso della storia assumeva toni da thriller urbano, ben lontano da quelle storie più caciarone a cui spesso ero abituato.
Nonostante i non esaltanti disegni di Rich Buckler, quella storia mi colpì: non ero ancora chissà che esperto, ma mi resi conto subito che quei testi, quella sceneggiatura erano qualcosa di nuovo. Qualcosa che avrei voluto ancora leggere. E per fortuna fu così.
La firma dietro le parole di quei quattro numeri era di un autore semisconosciuto, che aveva precedentemente lavorato per l’Ufficio Vendite di Marvel e che pian piano stava iniziando a farsi strada: si chiamava Peter David.
Il mio desiderio fu esaudito da lì a poco, quando ad Aprile 1991, in appendice a Fantastici Quattro, Peter prese le redini dei testi di Incredible Hulk, dove sarebbe rimasto per DODICI ANNI.
Per chi non c’era: Hulk era ormai da anni in balia di mancanze di idee e di autori capaci. La stessa Star, che aveva iniziato pubblicando storie del 1982 a firma Mantlo/Buscema, a un certo punto decise di saltare qualcosa come quattro anni di storie per cercare di pubblicare materiale migliore: ci furono sei storie (di numero) di John Byrne, poi altre – sconclusionate ma necessarie al lavoro successivo di Peter, scritte e (mal)disegnate da Al Milgrom e infine arrivò Peter. E Peter, coadiuvato inizialmente da un giovanissimo Todd McFarlane e poi a seguire da gente del calibro di Dale Keown, Gary Frank e Mike Deodato Jr., investì tutto se stesso in quella testata e, soprattutto, dimostrò di capire il personaggio. Anzi, col senno di poi posso dire che uno dei doni di Peter era capire i personaggi, la loro psicologia, come funzionavano.
Hulk fu completamente rinnovato. Prima con un ritorno alle origini (non più verde e stupido che si trasformava per rabbia, ma grigio, intelligente e potenzialmente cattivo che si trasformava di notte) e poi con un approfondimento della psiche disturbata di Bruce Banner, rendendo ogni incarnazione di Hulk una versione di un lato psicologico di un adulto con alle spalle un’infanzia di sevizie.
Nel primo ciclo, Ground Zero, Peter riesce a scrivere un episodio in cui Hulk e Betty passano il tempo a parlare. Niente che si distrugga, nessuna lotta. Parlano.
“Mi sembra avessi detto che non avevi più lacrime da versare” ”Ho mentito. Lo faccio a volte”
In questi 12 anni Peter inserì ironia, sagacia, avventura, emozioni, denunce. Parlo di amore, di odio, di vendetta, di ferite, di Aids, di salute mentale. Sulle pagine di Hulk, ripetiamolo.
Arriviamo ad Aprile 1993. Marvel decise di iniziare a pubblicare versioni futuristiche dei proprio personaggi di punta e il primo fu proprio L’Uomo Ragno. Quel mese usci in Italia il primo numero di “Marvel 2099” che conteneva le origini di Miguel O’Hara (sì, quel Miguel che avete visto nello Spider-Verse cinematografico). I disegni erano di un incredibile Rick Leonardi. I testi? Beh, lo avete già capito. E forse è inutile che racconti come di queste testate (alcune interessanti, altre più che opinabili) ambientate nel 2099 una sola finì per restare e venire riproposta anche decenni dopo: Spider-Man 2099, sempre e solo quando firmata da Peter David.
E ancora, andiamo avanti, quando David fu incaricato di scrivere X-Factor e mise insieme un gruppo di personaggi improbabili e pieni di problemi, approfondendone più le problematiche che i punti di forza e, di nuovo, comprendendoli.
Un esempio? Quicksilver, il mutante velocista che avete visto in due versioni nell’MCU, ma che nei fumetti ha sempre avuto un carattere molto meno piacevole. Eppure nessuno si è mai chiesto perché, finché un giorno PaD (nick di Peter) decise di fare una puntata in cui i membri di X-Factor facevano una seduta di psicoterapia e ci regalò questa chicca pronunciata da Pietro Maximoff/Quicksilver:
“Dimmi, dottore, sei mai stato in fila a un bancomat dietro a una persona che non sapeva usarlo? O sei mai andato a comprare dei francobolli all’ufficio postale e il tizio prima di te voleva conoscere ogni singolo modo per poter spedire il suo pacco a Istanbul? O hai mai incontrato un idiota da Burger King che non capisce “Whopper senza cetrioli”?”
“Beh, credo di sì…”
“E come ti sei sentito in quelle situazioni?”
“Impaziente. Irritato. Un po’ arrabbiato a volte”
“Precisamente. Perché la tua vita sta venendo rallentata fino a strisciare per colpa dell’incapacità o del comportamento fuori luogo di altri”. Non è razionale o sensato, ma è così. Ora immagina, dottore, che ogni persona con cui lavora, ogni luogo in cui tu vada, l’intero mondo in cui vivi, siano riempiti di persone che non sanno usare il bancomat. Forse anche tu svilupperesti una certa irritabilità, mi azzardo a pensare.”
Potrei andare avanti per pagine e pagine. Raccontare di quando sfidò l’allora presidente della Marvel sul tema della qualità degli albi, o parlare di come prese un personaggio come la Supergirl degli anni ‘90 e la rese qualcosa di tanto diverso quanto appassionante.
Potrei e dovrei parlare della meraviglia che è Fallen Angel, il progetto creator-owned la cui protagonista è un Angelo Custode espulso dal Paradiso che in qualche modo cerca di fare del bene sulla Terra. E che rivela che Dio lascia che esista il male, perché vuole morire e vuole che la gente smetta di credere in lui. Già. Robetta del genere.
E ancora ci sarebbe da citare i romanzi di Star Trek, episodi di Babylon 5 e tanto, tanto altro ancora.
Io, a queste storie, mi sono abbeverato.
Prima di conoscere Gaiman (accidenti a lui) ho divorato centinaia di pagine di Peter David, ho apprezzato la profondità che ci può essere nell’ironia e l’ironia che può esserci nel dolore, ho imparato che ogni personaggio ha una sua voce ed il trucco è saperli ascoltare. Ho riso, mi sono emozionato, ho pianto.
Peter David è stato uno degli autori che più mi ha formato come lettore, come raccontastorie, come essere umano.
Uno dei miei personaggi deve il suo nome e la sua fisicità all’Hulk/Joe Fixit creato da Peter.
Alcuni spunti fondamentali che mi hanno aiutato a scrivere il mio romanzo sono arrivati dal suo “Writing for Comics With Peter David”. (Tipo il troppo sottovalutato “la vita reale è spesso molto più incredibile delle storie, per questo le storie devono essere realistiche ma non reali”).
E da ieri non c’è più.
Non c’è più perché il sistema sanitario statunitense fa schifo, ma tanto ormai non conta.
Conta che quella mente, che si definiva “scrittore di cose”, non ci regalerà più nulla di emozionante, sagace, fuori di testa.
Io sento di aver perso un amico che c’è stato negli anni in cui ero una spugna, in cui avrei potuto diventare qualunque cosa e, forse, se non sono così male, un po’ lo devo anche a lui.
Il magone della notizia ancora non mi lascia, ma proprio per questo voglio ricordarlo qui.
La mia generazione non lo dimenticherà e farò di tutto perché le nuove generazioni lo possano scoprire.
Grazie, PAD.
Grazie di tutto.
PS: potete sentirmi parlare di Ground Zero in una delle mie Masterclass.
Finché potrò continuerò ad osservare.
Finché osserverò continuerò ad imparare.
Finché imparerò continuerò a crescere.
Finché crescerò continuerò a vivere.