191. Allo specchio
Ieri ho avuto un episodio fastidioso con una persona che ho preferito eliminare dai miei contatti per il modo che ha avuto di rapportarsi e porsi; poco male, non era un’amica, era uno di quei contatti sui social con cui si interagisce e poco altro.
Eppure questo, assieme a vari altri casi, mi ha portato (dopo anche un’accesa conversazione con Miss Sauron) a pormi per l’ennesima volta alcune domande.
Io sono un animale sociale, è un dato di fatto. Trovo arricchimento dal confronto con altre persone e trovo fondamentale la possibilità che i social danno di conoscere qualcuno con cui, altrimenti, non saremmo mai entrati in contatto. E se considero che dai social ma anche dai loro precursori (newsgroup, forum, blog) arrivano buona parte dei miei rapporti più importanti, la cosa la dice lunga.
Però è anche vero che io, spesso, tendo a essere presente anche per persone che amiche non sono: potrebbero diventarlo, certo, ma in quel momento non lo sono; le vedo come persone e, come tali, importanti e penso sempre che a me, se una persona dimostrasse interesse o appoggio, farebbe solo piacere.
Ho sempre dato la motivazione all’empatia che mi accompagna e, ne sono certo, di sicuro una gran quota a suo carico c’è, ma sono sicuro sia solo quello?
In certi momenti non ne sono così certo.
In certi momenti mi torna alla mente quel che dicevo su Evangelion, sulla necessità di “essere visti” che accompagnava tutti i personaggi.
Io so per certo di essere cresciuto con quella necessità: da persona isolata a scuola, presa in giro per anni, cresciuta con timidezza e insicurezza innate non poteva essere diversamente.
Una delle mie chiavi per cercare di essere visto era esserci.
Essere disponibile.
La spalla.
Zio Aries.
Non era conscio, ovviamente, tutt’altro, ma mentirei se non ammettessi che probabilmente c’era anche quella spinta.
Io ci sono per te, così tu mi vedi.
Io esisto.
Mi vedi?
E forse per una parte di me è ancora così.
Non perché ne abbia bisogno (spero).
Non perché quella timidezza ci sia ancora (c’è voluto il parabrezza di un’auto per farla sparire, ma ha funzionato).
Ma perché quel ragazzino che voleva essere visto, quel ragazzino che soffriva dell’essere isolato, che non sapeva rivolgere parola a una ragazza senza (letteralmente) avere le mani che tremavano, ecco, quel ragazzino è sicuramente in parte ancora vivo in me: d’altronde è lo stesso che ha sempre amato i dinosauri, l’astronomia, Star Wars e i fumetti ;arvel.
Quello che guardava Saranno Famosi chiedendosi come fosse avere amici così.
Ecco, quel ragazzino è qui dentro da qualche parte. E vuole essere visto, probabilmente. Vai a spiegargli che non ne ha più bisogno.
Vai a spiegargli che lui ora è, indipendentemente dal mondo.
Io lo so bene.
Ed è il caso che lo ricordi più spesso a entrambi.
Che esserci è fondamentale, anche, a volte, per persone che amiche non sono.
Ma esserci consuma energie.
Tempo.
Forze.
Tutte risorse non infinite e tutte risorse che, così, rischiano di essere distolte da chi lo merita molto di più, me stesso in primis.
Il ragazzino dovrà imparare che non ne ha bisogno.
Che basta quel che è.
È bastato per più di vent’anni, solo che lui aveva troppa paura per vederlo.
Post doloroso
Soprattutto perché porta a mettersi in discussione
Mi riconosco un po’ in questa tua analisi…
Spero ti sia utile, come spero lo sia a me.