Marinai Perduti

In un modo o nell’altro si torna sempre in qualche luogo del passato.

Può essere un passato vicino o remoto, cambiato tantissimo o in qualche modo, ma capita di tornare e di affrontarlo con la nostra nuova identità, con ciò che nel frattempo siamo diventati. Ed è strano, perché a volte in noi resta il pensiero che il cambiamento sia solo il nostro e che tutto il resto sia in qualche modo rimasto immutato, egocentrici che non siamo altro. Ma ovviamente non è così e tutto cambia, anche quando non cambia nulla.

E, al contempo, quando tutto sembra cambiare c’è qualcosa, qualche radice, che resta immutata, che sta lì, che fa parte integrante di un’essenza, a volte da abbracciare e altre che vorremmo estirpare.

E qui di ritorni ce ne sono diversi.

Anzitutto il mio ritorno a Izzo.

Era – sono andato a controllare – novembre 2011 quando finii di leggere Solea, il finale della trilogia di Montale di Jean-Claude Izzo, tre libri che ricordo si fecero divorare e mi trascinarono in una Marsiglia cruda, difficile, sanguigna.

Scrissi allora che era stato un viaggio bello e doloroso, ma non buono. E come ogni viaggio bello, quando passa il tempo, quando il nostro percorso ci allontana, può capitare di volerlo rifare, magari non allo stesso modo, non identico, ma derivato. Insomma, era questione di tempo prima che prendessi in mano uno dei pochi altri libri di Izzo e tornassi alla sua amata Marsiglia, stavolta con Marinai Perduti.

E il ritorno a noi stessi è parte della storia di questo romanzo. D’altronde potrebbe essere diversamente quando i protagonisti sono uomini che hanno deciso di vivere via da qualcosa? Di vivere di e sul mare? Di essere loro stessi solo lontani dalla terraferma?

I personaggi non sono eroi, forse l’esatto opposto, o forse semplicemente persone. Fragili. Che hanno fatto e faranno errori. Convinti di aver costruito una corazza di sicurezza che finisce per dissolversi come niente. Che hanno trascorso la vita a fuggire convinti di aver inseguito la propria vita.

C’è chi in passato a detto che non si può fuggire da ciò che siamo, che ovunque andiamo portiamo con noi la nostra essenza, il nostro dolore, i nostri errori, i nostri rimorsi.

Probabilmente è vero, quanto meno per qualcuno, e sicuramente scoprirlo dopo una vita può essere devastante. O liberare.

C’è chi in questo libro uscirà devastato.

Chi forse si salverà.

La differenza? Quella sottile tra aver sbagliato ed accettato di averlo fatto e, invece, la negazione ostinata, completa, totale.

C’è chi si salverà, forse.

C’è chi soffrirà, sicuramente.

C’è chi morirà, probabilmente.

E il mare e Marsiglia resteranno a guardare, impassibili.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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