L’unico modo che conosco

Lo ricordo bene quel giorno, sai?

Ero in gattile perché stare senza Stitch mi stava facendo male. Non eri previsto, non tu. La cosa più sensata sarebbe stata solo prendere le altre due pesti che erano nella gabbia accanto. Erano piccole, erano sorelline, avevo deciso che volevo due gatti. Era la scelta sensata.

Ma poi ti ho visto. Ho visto quanto eri arrabbiato col mondo. Non volevi stare lì. Odiavi stare lì. E soffiavi per farlo capire. Ma quando ho avvicinato la mano dopo il soffio hai allungato la testa per farti grattare e lì ho capito.

Dovevi venire via.

Dovevo portarti via.

Mi sono solo assicurato che andassi d’accordo con le altre due e non ci ho pensato un minuto. Siete venuti via con me tutti e tre.

Ricordi i primi giorni quanto eri arrabbiato e sulle tue?

Non volevi mangiare con loro.

Non volevi che ti toccassi, facevi il gesto di mordermi.

Poi di nuovo ti ho messo alla prova e il gesto si è rivelato solo quello. Non hai mai morso. Mai. Mai stretto i denti. Eri solo terrorizzato e volevi proteggerti.

Ti ho dato tutto il tempo di cui hai avuto bisogno e hai finito per mostrarti per ciò che eri: il gatto più buono dell’universo. E un tritacibo senza uguali. Quando sono stato a Londra la prima volta hai ben pensato di spazzolarti le scatolette lasciate per tutti e tre. Ti sei sfondato di sei scatolette al giorno per una settimana.

Le scatolette erano il tuo amore. Sì, ok i croccantini, ma tu volevi quelle, al contrario delle altre due. E la mattina e la sera erano i momenti in cui venivi a reclamare. Sguardi di biasimo. Testate. Strusciate. Anche qualche miagolata. Tutto andava bene pur di ottenere la colazione e la cena.

Io non so cos’hai vissuto prima di arrivare da me. So che ne hai passate tante. So che avevi paura dei temporali, al punto che sapevo che ne sarebbe arrivato uno prima ancora di sentirlo, perché tu eri già a nasconderti.

E so che abbiamo passato insieme troppo poco tempo.

Non era previsto.

Non dovevi lasciarmi dopo solo quattro anni.

Ma mi hai fregato anche lì, vero?

Io pensavo che ora avessi al massimo 9 anni. Probabilmente erano almeno 13.

Mi hai fregato.

Mi hai dato solo quattro anni.

Quattro anni a vederti giocare nei momenti più assurdi.

Quattro anni di fusa da trattore quando ti grattavo la pancia e sollevavi le zampe per facilitarmi.

Quattro anni in cui ogni tanto decidevi di venirti a sdraiare sulla mia pancia.

Quattro anni a tonno e croccantini light e nonostante questo pesavi sempre almeno 8 chili.

Quattro anni in cui non hai mai imparato a usare la gattaiola e l’unica volta che sei uscito poi non sapevi rientrare.

Quattro anni sempre a far la pipì nello stesso punto.

Quattro anni di gente che si innamorava di te solo a guardarti nelle foto.

Quattro anni a non farti mai tagliare le unghie.

Quattro anni a stringermi il dito con la zampa, a non farmi andare via. L’hai fatto anche stanotte.

Quattro anni a sopportare Sissi che non ti mollava un attimo. Mi prenderò cura di lei, te lo prometto.

Quattro anni in cui mi hai salvato almeno due volte, sai?

Sì, ok, io ti ho portato via dal gattile, ma tu, ma voi?

Mi avete dato di nuovo da amare dopo Stich.

E quando per mesi sono rimasto chiuso in casa per quella maledetta pandemia voi eravate la mia ancora.

Tu sei stato la mia ancora.

Mi hai salvato e io ho provato salvare te. Ci ho provato. Ho provato a curarti, ma non è bastato.

Mi spiace, bestione.

Ci ho provato.

Ti giuro che ci ho provato.

Spero tu sappia quanto bene ti ho voluto.

Quanto te ne voglio.

Quanto te ne vorrò sempre.

Ora ti porto da Stitch e Zen.

Se li vedi, salutameli.

Mi manchi già.

Ciao, Shep.

Ciao bestione mio.

Mi hai fregato.


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Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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