17. Tre Donne Alte

(c) Teatro dell’elfo

Vi capita mai di pensare a cosa fareste se incontraste una versione passata o futura di voi stessi? Se aveste cinquantadue anni, ad esempio, e doveste spiegare al/alla voi ventiseienne le scelte di una vita? O se ne aveste novantadue e doveste raccontare a entrambe le versioni come siete arrivat* a quel momento della vostra vita, quali compromessi avete dovuto fare, quali “decisioni irrevocabili” avete dovuto revocare, quali dolori e quali gioie avete incontrato?

Io, lo ammetto, più di una volta.

Sono convinto che se incontrassi il me stesso adolescente o poco dopo ci staremmo probabilmente sulle scatole reciprocamente, così come so che se incontrassi una qualunque versione successiva avrei molte cose da spiegare, molte illusioni da togliere e probabilmente qualche sguardo indagatore di troppo da sopportare.

Eppure avrei anche la fierezza di chi sono diventato e la consapevolezza di ciò che ho dovuto vivere per esserlo.

Ecco, questa lunga divagazione serve a raccontare l’essenza di “Tre donne alte”, spettacolo scritto dal Premio Pulitzer Edwar Albee e portato recentemente sul palco dell’Elfo dal regista Ferdinando Bruni e dalle tre protagoniste Ida Marinelli, Elena Ghiaurov e Denise Brambillasca, con traduzione di Masolino d’Amico.

Il primo atto dello spettacolo può lasciare interdetti e fin irritati: ci troviamo davanti a una donna novantaduenne ricca, apparentemente molto viziata, quasi odiosa nei suoi continui capricci, che viene assistita da un’infermiera di mezza età e da una ventiseienne assistente dell’avvocato che si occupa dei conti dell’anziana. Un’ora trascorre carica delle urla dell’anziana, dei suoi ricordi, del suo essere costantemente divisa tra la rabbia della solitudine e la nostalgia di un passato sempre più luminoso rispetto al vissuto.

Poi giunge il secondo atto e mentre l’anziana sembra giacere ormai in fin di vita nel suo letto, le sue tre anime si liberano, coi volti suoi, dell’infermiera e dell’assistente. Coloro che prima erano persone diverse si rivelano essere incarnazioni della vita della donna che si trovano a confrontarsi, a raccontarsi, anche a detestarsi reciprocamente. La ventiseienne non è in grado di comprendere come potrà diventare disillusa come la cinquantaduenne e, forte del suo idealismo, urla la sua volontà di ripudiare entrambe le sue versioni future, mentre queste combattono tra la consapevolezza dei compromessi fatti e la certezza di aver agito al meglio di ciò che potevano, errori, traumi e dolori inclusi.

E quando giunge la domanda finale, “qual è stato il momento più felice?”, le ultime parole sono della novantaduenne:

il momento più felice è ora, che ho finito la mia vita e che posso guardarmi indietro non avendo più nulla da fare.

Uno spettacolo fortemente sbilanciato tra i due atti dal punto di vista emotivo ma che riesce a catturare lo spettatore grazie a una seconda parte ben scritta e calibrata e che porta con sé un buon numero di riflessioni, sia che si voglia abbracciare il messaggio principale dell’autore, sia che non lo si voglia fare proprio.

Moltissimo, indubbiamente, fanno le interpreti: ovviamente Ida Marinelli, che interpreta in modo magistrale la versione anziana sia nei momenti più irritanti del primo atto che in quelli riflessivi del secondo, ma non si può non sottolineare la bravura di Elena Ghiaurov, la cui ironia riesce ad alleggerire vari momenti altrimenti ostici, e infine, ma non per importanza, Denise Brambillasca, che ben calibra sia il personaggio del primo atto che la giovane speranzosa del secondo.


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Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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