After Life: quando la vita è più forte del dolore

Cosa accade a un brav’uomo quando il dolore è insopportabile? Quando perde l’unica persona che rendeva la vita meritevole di essere vissuta? Cosa succede, soprattutto, quanto questo brav’uomo è anche una persona intelligente e sagace, incapace di spegnere il cervello e di permettersi di guarire?

La risposta è in After Life, una meravigliosa miniserie di soli sei episodi scritta, diretta e interpretata da Ricky Gervais e disponibile nel catalogo Netflix.

Tony, uomo inglese sulla quarantina che lavora in un giornale locale gratuito di una piccola cittadina inglese, ha perso Lisa, uccisa da un cancro al seno. La morte dell’unica donna che abbia mai amato, dell’elemento focale della sua vita, lo porta a convincersi che vivere non abbia più senso.

Quando lo incontriamo nel primo episodio è in piena china discendente. La casa è un letamaio, i piatti si accumulano senza essere lavati, la dispensa è vuota. Anche il cibo per cani termina ed è questo l’unico motivo per cui si decide ad andare al supermercato. Così come la presenza del cane, la necessità di prendersi cura di lui, è l’unica ragione per cui si ferma poco prima di togliersi la vita.

Intelligente, sagace, spiritoso, Tony si trasforma in una versione oscura di se stesso. Decide che finché dovrà vivere lo farà nei suoi termini: fregandosene di qualunque regola di educazione e buon vivere, rischiando la vita perché tanto non ha paura di morire, provando a drogarsi per stordire anche solo per un istante il cervello.

Ferisce.

Ferisce chi gli è accanto, a volte per volontà di causare dolore, ma spesso solo perché quando si vede una brava persona distruggersi dal dolore e si vuole bene a quella persona è impossibile non soffrire per lei.

Ferisce e si ferisce, perché ogni sua azione dettata da dolore e rabbia è un ricordargli chi era e chi, crede, non sarà più, perché nella sua vita non esiste più il catalizzatore della sua felicità.

Leggendo fin qui si potrebbe a pensare a una storia non particolarmente nuova: di serie e film che affrontano il dramma di chi rimane è piena la cinematografia. In cosa After Life è così diversa?

Anzitutto nell’umorismo.

Può sembrare assurdo che una serie che tratta di un argomento del genere possa far ridere, ma sono tantissimi i momenti in cui è impossibile trattenersi (sempre che vi piaccia lo humor britannico, sia chiaro) e ciò che è ancora più prezioso è che mai, quando accade, avviene per una forzatura o in contrasto con l’argomento trattato.

L’intelligenza e il sarcasmo di Tony – specchio perfetto del protagonista/autore – permettono di ridere delle sue battute più o meno crudeli, del suo non voler credere alle idiozie che incontra e, soprattutto, del non voler più star zitto quando le affronta.

Capita più volte che una cattiveria detta da lui sia esattamente quella che vorremmo dire noi se avessimo la faccia, il coraggio o semplicemente la mancanza di scrupoli di farlo. Ed è esattamente qui il punto. Tony lo fa perché non gli importa più di nulla, perché si ritiene legittimato a dire e fare qualunque cosa fregandosene delle conseguenze.

Frank Miller, nel suo capolavoro Born Again, scrisse che “un uomo senza speranza è un uomo senza paura” e Tony è esattamente questo.

Ma se si è una brava persona, agire senza scrupoli verso il prossimo fa sì che il proprio animo si avveleni e che quella piccola soddisfazione momentanea dell’aver detto “il fatto suo” a qualcuno, magari anche spiazzandolo con la propria sagacia, duri troppo poco e incrementi invece il sapore amaro che accompagna costantemente.

Che, in breve, alimenti la disperazione invece di riuscire a guarirne.

Ma Tony è fortunato. Lo è perché sua moglie lo amava a sufficienza per sapere cosa lui avrebbe passato e cercare di prevenirlo lasciandogli un videomessaggio ripetuto incessantemente per giorni e giorni dall’uomo.

Ma lo è soprattutto perché le persone accanto a lui vedono oltre quel muro. Oltre il dolore. Oltre la rabbia. Oltre la disperazione. Qualcuno ne sopporta le battute, per questo. Qualcuno cerca di smuoverlo. Qualcun altro lo affronta senza compatirlo.

Ma tutti insieme riescono in una cosa: nel mostrargli che il dolore non interrompe la vita e che per quanto si soffra vale ancora la pena di andare avanti.

Magari non si riuscirà a essere felici. Ma magari si potrà fare qualcosa per rendere un po’ migliore la vita di qualcun altro. E già questo è sufficiente perché ne valga la pena.

Non cambierei nulla. Se tornassi indietro e cambiassi una cosa del passato che non mi piace potrei perdere qualcosa di bello a cui mi ha condotto quel momento negativo.

Non è un percorso semplice, soprattutto perché chi lo deve percorrere non ci prova neanche. Ciò che la serie eccelle nel mostrare è la solitudine del dolore. Nel momento in cui soffriamo, ciò che proviamo è solo nostro. Non importa quante persone siano o meno accanto a noi e provino sinceramente a supportarci, quel male rimane in noi e quando siamo a letto è tutto ciò che ci fa compagnia. Quello e, se siamo fortunati, un cane che ci salvi la vita affidando la sua a noi.

La felicità è stupefacente. Lo è così tanto che non importa se sia la tua o quella di qualcun altro.

Quella solitudine avvicina Tony alle persone più invisibili, lo porta a vederle come individui, a sfiorarle nel momento in cui non vuole che altri gli si avvicinano troppe. A capire le loro solitudini perché specchio della propria. Ed è quando quello specchio si rompe, quando il vedere qualcuno fare ciò che lui non ha potuto e farlo grazie al suo aiuto, che Tony inizia a comprendere. A ricominciare a vedere gli effetti delle sue azioni. A tornare a vedere gli altri e a comprendere l’esistenza dei loro dolori e oltre al proprio.

È da lì che torna a riappropriarsi non della felicità, ma quanto meno della consapevolezza della propria vita.

– Non mollare, perché se no quelli hanno vinto. E stanno diventando sempre di più.
– Chi?
– Gli stronzi.

Guardare i sei episodi di After Life significa assistere a qualcosa di reale, a una rappresentazione del dolore e del lutto mai così perfetta. La scrittura conferma il genio di Ricky Gervais e il cast è altrettanto perfetto. Si ride molto e si piange altrettanto e lo si fa per le giuste ragioni e, alla fine, ci si sente meglio, perché una serie come questa aiuta a ricordarci per cosa valga la pena andare avanti giorno dopo giorno e lo fa non con accondiscendenza ma con intelligenza, humor e una sensibilità fuori dal comune.

E magari, guardandolo, si finirà per ricordarsi che le persone buone fanno qualcosa per gli altri. E tutto parte da lì.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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