Marvel’s Punisher: 2×01 Roadhouse Blues
Può un uomo come Frank Castle, meglio noto come Punisher, trovare davvero pace, piuttosto che felicità? Terminata la vendetta, è possibile tornare su una strada che non preveda violenza o certe cicatrici sono davvero troppo profonde per non continuare a farsi sentire? Il primo episodio della nuova – e quasi certamente ultima – stagione di Marvel’s The Punisher sembra prevedibilmente partire da queste considerazioni per porre le basi dei nuovi sviluppi. Basi che, almeno a giudicare dalla première, sono ancora lungi dall’essere completate e richiederanno probabilmente qualche episodio prima di formarsi completamente.
Senza rivelare nulla della trama, non c’è molto di nuovo in questo inizio di stagione, se non la volontà di approfondire Frank partendo non dai suoi spettri ma dal suo desiderio di andare avanti.
Letteralmente, dato che la sua soluzione è quella di viaggiare senza meta per le ampie strade del paese. Lo ritroviamo in Michigan, a bere una birra dietro l’altra pagandone rigorosamente una alla volta così da non lasciare conti aperti, come un qualunque uomo che non sa dove andare ma che sa bene che non vuole fermarsi.
O almeno non vorrebbe, come si potrà immaginare: a volte basta poco per cambiare non solo una serata, ma l’intero corso di una vicenda. Un sì, invece di un no. Alzare la testa invece di rimare in disparte. Fare un’inversione a U invece che proseguire sulla propria strada.
– Hai detto qualcosa?
– Sì
Scelte.
Scelte che possono portare calore momentaneo, una parvenza di normalità, ma anche scagliare di nuovo nel caos più assurdo per quell’incapacità di lasciar andare, di accettare lo schifo quando si può evitarlo.
L’essenza di Castle, quello televisivo ma anche – quando ben scritto – quello fumettistico, è questa: la volontà di non abbassare più la testa quando ci si trova di fronte a soprusi. Frank non è un eroe, sia ben chiaro. Non come Daredevil o Spider-Man, neanche come Jessica Jones, nonostante forse gli spiriti siano più affini. Frank non è un eroe perché lui, di quella violenza, ha in realtà bisogno. La nega il più possibile, ma fa parte di lui e va alimentata perché non esploda, che ne sia consapevole o meno. Ha vissuto nella violenza, è morto emotivamente nella violenza, è rinato nella violenza. Frank è violenza e l’unica cosa che lo differenzia dai suoi antagonisti è la direzione in cui la incanala.
– Quindi? Cosa sei? Il buon samaritano che non poteva stare in disparte?
– Sono solo uno stronzo che non riesce a stare fuori dai guai
Importante, perché quanto detto risalti maggiormente, è lo spazio che viene dato anche al lato più umano del protagonista, quello che nella prima stagione si era visto esclusivamente nei flashback e nel rapporto tra Frank e la famiglia di Micro. Di nuovo, da questo punto di vista, la bravura di Jon Bernthal nel mostrare i lati più umani del personaggio è ottima: non eccedendo mai in eccessi di tenerezza che stonerebbero col personaggio è perfetto il modo in cui riesce a trasmetterne l’animo di fondo nei momenti opportuni. Non tanto grazie alle espressioni del viso, ma a una gestione del corpo e dei toni di voce ben studiata e mirata.
Le interazioni col personaggio di Alexa Davalos, che stupisce trovare qui in un ruolo apparentemente secondario dopo essere stata coprotagonista in The Man In The High Castle, funzionano sia per la buona alchimia tra i personaggi che per la scrittura: niente, come dicevamo all’inizio, di particolarmente innovativo, ma comunque raggiunge lo scopo prefissato.
Pur trattandosi di un episodio fortemente introduttivo, le scene di azione non mancano – com’è giusto che sia per questa serie – e mantengono l’alta qualità a cui ci eravamo abituati nella stagione precedente, con una iniezione di personaggi femminili che abbiamo sinceramente gradito.
A tal proposito, invece, non colpisce particolarmente Amy, il nuovo personaggio introdotto e interpretato da Giorgia Whigham, che risulta fastidiosamente stereotipato senza particolari note di interesse, se non addirittura con cenni di fastidio epidermico da parte dello spettatore che speriamo verranno smentiti nel proseguo: siamo, invece, curiosi di vedere l’introduzione di Floriana Lima nella trama.
Ciò che manca, prevedibilmente, al momento è il senso di urgenza legato al – potenziale – antagonista della stagione: troppo poche sono le informazioni e le scene che lo riguardano per trasmetterlo come una minaccia realmente impellente, senza contare che già dai trailer è stato evidente come il ritorno di Billy Russo, nella sua definitiva trasformazione in Mosaico, sia un punto che risulterà centrale nello sviluppo della stagione: sotto quest’ottica resta anche da vedere se Dinah Madani sarà un personaggio ricorrente anche stavolta o se la sua comparsa nella première sia esclusivamente un modo per legarsi al finale della stagione precedente.
Una buona première, quindi, che porta con sé i pregi e i difetti della stagione precedente e che serve quasi esclusivamente a reintrodurci nel mondo di Frank Castle facendo il punto della situazione: un po’ poco, forse, ma con tredici episodi davanti ce lo si può permettere.