Riflessioni semiconvalescenti

Leggenda (e, diciamocelo, anche un po’ di verità) vuole che mediamente gli uomini comuni abbiano qualche problema di drammaticità legato a malattie e febbre anche basse: ecco, uno dei pochi punti a mio favore è che questo aspetto di solito non mi si applica. Un po’ perché mi ammalo veramente poco e poi perché la soglia di sopportazione del dolore e delle malattie è medio-alta: per capirci, quando mi sono rotto il tendine rotuleo (entrambe le volte) non credo di essermi mai lamentato per il dolore quanto per il fatto che la rotula fosse partita in gita premio. Per lo sgraffettamento dopo il primo intervento mi sono lamentato, quello sì, accidenti a loro.

Ma comunque, questa era una premessa nata non per mostrarmi chissà quanto macho (impresa ormai persa), bensì per chiarire la base di partenza.

Venerdì notte, verso le 3.30, mi sono svegliato. Avevo freddo. Nel senso che ero percorso da brividi di freddo. Non mi sono fermato particolarmente a pensare che non fosse normalissimo, mi sono alzato, ho preso un plaid, l’ho steso sul letto e mi sono infilato sotto, cercando di dormire e rimanendo tutta notte raggomitolato e solo un po’ meno tremante. Al risveglio, il sospetto che qualcosa non andasse c’era, soprattutto considerando altri fattori, tipo che mi sentivo come se un TIR si fosse esercitato a fare aventi e indietro su buona parte del mio corpo, ma anche che evidentemente avevo avuto dei sogni quanto meno alterati, essendomi svegliato pensando che quello che stavo sperimentando era per forza di cose qualcosa che stava accadendo a tutti in tutto il mondo e che appena fosse si fosse accesa la radiosveglia avrei sentito le notizie parlarne.

Cosa che non hanno fatto. Strano.

A quel punto ho deciso di provare la temperatura e ho riscontrato di aver raggiunto un bel 38.6 che, suvvia, alle 8 di mattina non è certo uno scherzo. Il resto della giornata mi sono trovato alla mercé del mio corpo, con la temperatura che è riuscita in poche ore a salire e scendere non so quante volte (picco massimo 39, picco minimo 35, gradi intermedi coperti in gran parte): alle 14 mi potevate trovare sul divano incapace di fermare i tremori.

Potete dedurre come sia stato piacevole il week-end, con viaggio a Bologna saltato e la necessità di equilibrare il bisogno di riposo, quello di respirare e la grandissima rottura di coglioni di non avere energie per fare nulla, neanche vedere passivamente una serie.

Fortunatamente il paracetamolo ha fatto il suo dovere e già domenica la febbre era sparita e rimaneva solo da recuperare energie, cosa che sto facendo progressivamente (dopo aver perso letteralmente due chili in due giorni).

Ma facciamo un passo indietro. Avete presente la scena del sottoscritto alle 14 in preda ai tremori? Ecco. considerate che prima di quel momento e da un’ora dopo quella fase, lo stesso individuo non era a letto a riposare. No, neanche sul divano. Era alla scrivania a lavorare. Coi pantaloni lunghi, una maglietta e una felpa (26 gradi in casi) e con un fazzoletto freddo in fronte a cercare di tamponare la temperatura. Ho lavorato. Non so come, sul serio, quasi non ricordo cos’ho fatto (anche se sembra che l’abbia fatto abbastanza bene), ma ho lavorato.

E no, non voglio un applauso. Non è un merito. Ho lavorato per due motivi. Il primo è che avevo promesso che certi lavori sarebbero stati pronti per domani e non ero sicuro di come sarei stato nei giorni successivi: se non li avessi fatti venerdì e poi lunedì fossi stato ancora in quelle condizioni allora avrei mancato il mio impegno e un cliente importante del mio cliente era in ballo. Mi sono preso la responsabilità.

Il secondo è che sono un autonomo. Questo significa che se venerdì non avessi lavorato, quella sarebbe stata una giornata da fatturare buttata al vento. Ecco, lo dico ai tanti dipendenti che non hanno mai vissuto questa situazione: io ho dovuto scegliere se prendermi cura di me stesso o tenermi 1/20 del mio guadagno mensile. Prendermi cura di me stesso avrebbe significato dover contemporaneamente diminuire il mio reddito del mese di 1/20. Moltiplicatelo per due. Pensate a quelle influenze di una settimana. Pensate a una gamba rotta, a un incidente, a un lutto. Ognuno di questi è una scelta: prendervi cura di voi o perdere parte di ciò che vi fa vivere. Ogni santo giorno. Io, col tendine rotto, ho dovuto ringraziare di avere in quel momento un cliente che mi ha permesso di lavorare in remoto tutto il tempo, altrimenti sarei stato rovinato. Ho lavorato da casa in carrozzina per sei mesi e passa. Perché sono un autonomo.

Va beh, ma cosa vuoi, te lo sei scelto, no?” Certo. L’ho scelto e continuo a sceglierlo, tanto che se volessi avere un lavoro dipendente lo troverei nel giro di un mese (ogni volta che invio curriculum ricevo dalle 4 alle 10 chiamate). Io non voglio essere dipendente, voglio lavorare a modo mio, tutto vero. Ma il mio modo non significa che la mia salute sia considerata di secondo piano perché non sono dipendente. Il mio modo non significa essere felice di dover scegliere sempre se voglio riposarmi o guadagnare. Il mio modo non significa dover decidere quanti giorni posso permettermi di fermarmi col lavoro anche senza andare da nessuna parte, perché a prescindere il non lavorare è un costo. Il partire è un doppio costo.

Quindi sì, ho scelto il mio lavoro e sono conscio di pro e contro, ma non ho scelto di sentire innumerevoli cazzate al riguardo da chiunque non sappia neanche lontanamente cosa significhi dover fare questo tipo di scelta. E già che ci siamo, tenetevi tutti i “beato te che vai a Londra/New York/qualunque altro posto”, perché ogni volta che vado in questi posti è un sacrificio ben maggiore del semplice spendere i soldi per il viaggio. Un sacrificio che faccio felice di ciò che mi restituisce, ma nessuno, NESSUNO, ha il diritto di dirmi che sono “beato”, perché il sudore di questo sacrificio è il pagamento che me ne dà diritto. Sì, lo so che molti non pensano ai connotati di questa espressione, ma dire che qualcuno è beato a poter fare una cosa implica che la ottiene facilmente, per fortuna o addirittura in dono. In dono questa grandissima fava.

Quindi, gentilmente, la prossima volta che vi viene da pensare “ah, tu sì che stai bene, sei autonomo, puoi fare tutto quello che vuoi” mandatevi a fare in culo da soli, che io ho perso la voglia.

E poi devo lavorare.

Qualcuno era in convalescenza. Ma non quello che sembra in foto.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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