L’ultimo anno, ciò che si impara e ciò che si decide

Nella notte tra martedì e mercoledì è caduto il primo anniversario della morte di Rooney. Il pensiero che sia trascorso un anno è estraniante, un po’ perché dolori del genere sembrano al contempo lontanissimi e accaduti ieri, un po’ perché in qualche modo quel giorno ha segnato una serie di eventi e di cambiamenti che hanno propagato i loro effetti non solo al momento, ma anche nei mesi successivi, sicuramente fino a oggi.

Noi abbiamo cercato di viverlo con la consapevolezza che il pensiero è sempre presente e la volontà di cercare, comunque, di vivere appieno queste giornate. Da qui il concerto di Sting a Verona della scorsa settimana e la gita sulle Isole Borromee di ieri. Miss Sauron non era mai stata a vederle e io non tornavo da qualcosa come dodici o tredici anni in quei luoghi che, invece, in adolescenza erano una sorta di tappa fissa delle mie estati.

Non tanto le isole, che avrò visitato forse due o tre volte, quanto il viaggiare in battello sul Lago Maggiore: tipicamente io, mia madre e la sua amica Fedora prendevamo una giornata per fare il viaggio Arona/Locarno/Arona via lago. Il viaggio durava quattro ore all’andata e quattro al ritorno, ci si fermava solo un paio d’ore a Locarno e questo era quanto: giusto il tempo di fare scorta di cioccolata (vi ricordate quando si andava in Svizzera per far benzina e/o comprare cioccolata?), mangiare un gelato e tornare. Una follia, se me lo chiedeste oggi, eppure era una tradizione che amavo molto.

Faceva caldo, ieri, e a un certo punto non ne potevamo più, eppure ne è valsa la pena. A volte, per riconoscere noi stessi, dobbiamo comunque tornare nei luoghi che erano nostri e non lo sono più, anche solo per distinguere tra chi eravamo e chi siamo.

Come dicevo nell’ultimo post, il mio confronto tra ciò che ero e ciò che sono mi lascia sempre frastornato, facendomi ricordare il motivo per cui la parola cambiamento mi appartiene tanto da essermi tatuato la runa Dagaz sul polso. Eppure alcuni cambiamenti sono più sottili di altri e, forse proprio per questo, quando diventano evidenti finiscono per dimostrarsi i più radicati. 

Uno di questi, che sicuramente ha concluso il suo radicamento in questi dodici mesi, è il non essere più disposto a capire e il non essere più disponibile al confronto tout court. Detta così può sembrare una svolta quanto meno insolita e inaspettata per chi, come me, fa delle parole uno strumento fondamentale, ma cercherò di spiegarmi meglio.

Il confronto è un momento fondamentale nel relazionarsi con gli altri, siano essi amici, partner o estranei, di questo sono e rimango convinto: ciò che però si sottovaluta è che il confronto costa energie, spesso al punto da lasciare svuotati e sfiniti, e pertanto il decidere di sostenerlo dev’essere supportato dal suo valerne la pena.

Il confronto vale la pena se c’è la possibilità di arricchimento reciproco o di venirsi incontro, altrimenti è spreco di tempo ed energie. Non sempre, ovviamente, si può sapere se il confronto varrà la pena, ma personalmente mi sono reso conto che istintivamente se cerco di evitarmelo è perché intuisco (o so) che non sia così.

Non si tratta di presunzione, si tratta di esperienza e istinto: se si conosce una persona da anni e la si è vista agire in certe situazioni in un modo specifico, per quale motivo dovrebbe comportarsi diversamente in una condizione specifica che altro di diverso non ha se non le persone coinvolte? Sono rare, purtroppo, le volte in cui le persone coinvolte fanno la differenza: nella maggior parte dei casi non è così e i meccanismi saranno sempre e solo quelli.

Se so che una persona cerca il confronto solo per poter dire che ha ragione lei e tu sbagli, perché perdere tempo? Se la ricerca è solo per avere l’ultima parola, a che serve, di nuovo, concedere la possibilità?
Mi è capitato di cedere e, dopo, di vedere confermato ciò che già pensavo. Il rischio è di togliere possibilità a chi invece magari è sincero? Sì, probabilmente sì, ma è un rischio che, a questo punto della mia vita, sono disposto a cogliere.

Così come, a questo punto della mia vita, ci sono cose su cui non transigo. Alcune basi che, per quanto mi riguarda, fanno le differenza tra le persone che voglio nella mia vita e quelle cui auguro di trovare chi le merita. Non transigo su basi umani: omofobia, razzismo, misoginia, violenza, shaming in ogni forma. Non transigo sulla mancanza di empatia. E non transigo su chi, per disagio proprio, sputa veleno gratuitamente. No, grazie. Non importa se si tratta di conoscenze o amicizie di ore, giorni, mesi o anni. Non transigo. Non transigo più.

Al che uno potrebbe obiettare che io non ho diritto di decidere uno cosa debba dire o come debba comportarsi. Vero. Verissimo, anzi. Però ho pieno diritto di decidere se qualcuno, in base a parole o comportamenti, voglio che sia nella mia vita. E ho diritto di deciderlo senza appello perché, mi spiace, su certe cose non c’è dibattito e ciò che alcuni scambiano per dibattito è solo desiderio di dire “io ho ragione, vaffanculo”. No, grazie. Se hai ragione, non hai bisogno di confrontarti.

Questo è un punto non chiaro a molti che forse andrebbe ribadito una volta per tutte: nessuno ha il diritto di decidere su cosa altri possono sentirsi feriti. Nessuno. Non hanno importanza le intenzioni, non ha importanza se per voi quanto detto o fatto non è così fondamentale: è importante ciò che prova chi l’ha vissuto e lo subisce. Se io rimango ferito, ho diritto di esserlo e se il desiderio di confronto è solo per dimostrare che sbaglio a esserlo, allora fanculo il desiderio di confronto. Ci possono essere fraintendimenti? Assolutamente sì, ma in quel caso si pone il focus sul fraintendimento e si chiede comunque scusa per la mancata chiarezza. Ma si accetta il dolore altrui. Lo si rispetta. Negarlo è violenza paragonabile (il meccanismo è lo stesso) al bullismo. Il bullo dice “noi scherziamo” mentre la persona sovrappeso pensa al suicidio. Il meccanismo è quello.

Questo potrebbe far pensare che, quindi, non esista chi si offende immotivatamente o chi reagisca eccessivamente a situazioni oggettivamente (ma esiste l’oggettività, in questi casi?) non offensive. Bisogna scusarsi e accettare anche lì? Sì. Bisogna accettare che la persona si sia sentita offesa o ferita e poi decidere se le interazioni con quella persona possono proseguire su queste basi. Questa è la chiave che ci si scorda: nessuno vi ha ordinato di interagire con nessuno. Non importa che vi conosciate da giorni o decenni, nessuno vi costringe a rimanere nelle vostre vite reciprocamente. Se io mi ferisco e a te non sta bene che io sia ferito, la tua opzione non è dimostrarmi quanto torto abbia: non in quel momento, di sicuro. In quel momento puoi scegliere se stare e scusarti o non scusarti e andartene. Stop. Poi, ovviamente, le sensibilità evolvono e cambiano in base a mille fattori. Ci sono battute che permetto solo a una persona o due. Ci sono frasi che, dette da chi conosco bene, mi devasterebbero e dette da un estraneo mi fregano poco. Tutto è fluido, ma la costante è una: se qualcuno resta ferito, si accetta, si cerca di capire o ci si allontana. Il confronto per dimostrarne il torto è parente del bullismo.

Ecco, io, se so che un confronto finirà probabilmente così, ne faccio a meno. E se vedo che qualcuno tocca qualcosa a cui tengo, lo escludo. E sì, mi sta bene così. 

Ieri, in un tweet, veniva citata una ragazza che avevo mollato il ragazzo con cui stava perché l’aveva scoperto grillino dopo le ultime elezioni. Ecco, questo è un esempio perfetto di ciò che intendo. (Quasi) nessuno è intoccabile. Perché (quasi) nessuno mi ha dimostrato di valerne così tanto la pena.

D’altronde, sono fiero di aver deciso di non frequentare più quella che per me era la mia gelateria perché ho scoperto che la sua proprietaria era una fiera Novax. Non transigo. Non. Transigo. Neanche se in ballo c’è il gelato.

Il confronto non è un diritto. È una conquista che si ottiene per merito e non per anzianità. 

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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