The Handmaid’s Tale: 2×08 Women’s Work

Gli uomini temono che le donne ridano di loro. Le donne temono che gli uomini le uccidano-

Qual è il lavoro delle donne? Una domanda che sembra giungere da un remoto passato, ma che in Gilead è uno dei punti fondamentali su cui è costruita la sua teocrazia.

Il lavoro di una donna, il suo ruolo, è quello di badare alla casa, fungere da ornamento del padrone – se fortunata – oppure occuparsi della cucina in ruolo di Martha o, ormai lo sappiamo bene, essere stuprata come Ancella. La donna non è altro: accessorio, cuoca, serva, incubatrice.

O forse no?

Un vecchio detto recita che la necessità crea strani compagni di letto e di certo solo due episodi fa mai avremmo immaginato June Serena collaborare tanto attivamente e, soprattutto, in modo così affiatato. (Ex)Scrittrice la seconda, (ex)editor la prima, la loro unione sembra amaramente idilliaca quando hanno la possibilità di prendersi quello spazio che, attraverso strade estremamente differenti, è stato loro tolto.

Nella stanza in cui piegano le regole di Gilead, le due donne rinascono insieme: in quella stanza non esistono i nuovi ruoli, esistono due donne che, nonostante il loro burrascoso passato, collaborano per produrre qualcosa. Nel momento in cui le regole di Gilead vengono aggirate, nell’istante in cui Serena si spoglia di Gilead torna ad assumere il volto di essere umano che non aveva da ben prima della rivoluzione; un volto ben diverso da quello visto in occasione del ritorno di Offred dall’ospedale: lì c’era la Signora Waterford che concedeva la propria pietà per interesse e, come tale, reagiva a una richiesta di troppo,mentre  qui c’è Serena Joy, donna intelligente e in gamba, rimessa in condizioni di fare qualcosa.

Se la prima lettura è quella più evidente, il confronto tra la situazione attuale di Serena e le sue potenzialità, non è però quella più interessante, anche perché perde il confronto rispetto all’enormità subita da June e dalle altre ancelle. L’episodio va oltre, confermando il pensiero che già ci eravamo costruiti in precedenza: la vera mente della coppia Waterford è ed è sempre stata Serena. Ricordiamo che fu lei a reagire con durezza al suo tentato omicidio, guardando con disprezzo il marito, e sappiamo bene che sue erano l’arte oratoria e la capacità di alimentare gli animi: Fred non è altri che un omuncolo in una posizione di potere e le sue azioni in questo episodio lo dimostrano pienamente.

Durante il periodo di assenza, Serena ha ottenuto probabilmente più di quanto lui avesse fatto in autonomia ed è sempre lei a essere disposta a correre il rischio di violare la legge pur di salvare una bambina: ricordiamo che Gilead è nato avendo come presunto principio fondamentale la necessità di favorire la nascita e la crescita di bambini, eppure quando la scelta è tra piegare le regole per cercare di salvare Angela/Charlotte e non agire, Fred opta per quella che garantisce lo status quo suo e degli altri uomini, in pieno contrasto col principio citato.

Come se non bastasse, l’uomo raggiunge l’apice del tradimento nei confronti della moglie punendola a frustate per aver osato contraddirlo: si tratta della cartina tornasole della vera natura di Fred, individuo debole, avvelenato e corrotto dalle menzogne di Gilead, che si trova a dover ribadire con la forza la propria fittizia autorità. “Ricordate che comando io” è il modo migliore per mettere in dubbio chi comanda e mai come ora tale verità è palese.

Quali saranno gli effetti di tali azioni su Serena e June resta da verificare: se anche nell’immediato sembra in corso una nuova, più dolorosa, separazione tra le due, resta il fatto che non tutto può essere cancellato, anche se viene usata la fibbia di una cintura, e il finale può benissimo simboleggiare questo messaggio; Charlotte è viva – sembra – grazie allo sforzo di Serena e June e questo risultato non può rimanere ignorato, così come la capacità di June di empatizzare con la donna che più volte l’ha umiliata. Sono semi, come un seme è stato lo scambio di nomi dell’episodio precedente, e quando più semi vengono piantati, uno prima o poi attecchisce.

Non è possibile, poi, non citare uno dei momenti più toccanti, quello del ritorno di Hodgson. Scriviamo “ritorno” perché nel momento in cui la donna è stata spogliata del proprio lavoro per renderla una Martha, le è stata rubata letteralmente la sua identità, che ritrova velocemente nel momento in cui torna a indossare un camicie e uno stetoscopio. Le lacrime di Hodgson sono quelle di chiunque torni a vivere anche solo per pochi istanti dopo anni di inferno e potrebbero far perdere un particolare importante: il medico che la accoglie le dice, con l’emozione di un fan, di aver studiato da qualcuno che è stato, a sua volta, pupillo di Hodgson. Questo significa che il miglior medico neonatologo offerto da Gilead è due generazioni a valle della persona con più competenze in circolazione: sembra un pensiero fine a se stesso, nell’insieme degli orrori degli ex-Stati Uniti, ma è la dimostrazione intrinseca che è Gilead stesso il tarlo che ne sta divorando le fondamenta. Pur di seguire il proprio vuoto dogma teocratico rinuncia alle capacità di chi potrebbe farla eccellere. 

Ancora qualche nota sparsa, che non può essere tralasciata. Anzitutto un cenno a Emily: il suo ritorno non ha in alcun modo mitigato il suo desiderio di distruzione nei confronti di tutto ciò che riguarda Gilead; il suo odio cieco finisce per colpire anche chi, come Janine, ha la sola colpa di cercare di sopravvivere nel modo più accettabile possibile: per Emily, Gilead stessa va rasa al suolo e, con essa, tutti coloro che la supportano anche parzialmente; un pensiero che, pur pienamente condiviso e condivisibile, si scorda delle sfumature di grigio legate alla sopravvivenza di ognuno. June si chiede, a buona ragione, se – venendo a sapere del suo aiuto a Serena – Emily finirebbe per volere morta anche lei e possiamo sospettare di sì: ma quando l’odio diventa tanto cieco da non concepire più altro che bianco e nero, non diventa pericolosamente simile a ciò che l’ha generato?

Il finale, pur estremamente emozionante e necessariamente positivo, è sotto qualche punto di vista più debole dell’episodio, se ci soffermiamo sul modo in cui la questione medica è stata gestita; l’impressione che l’amore materno abbia guarito la bambina è (volutamente) forte, ma non può non farci un po’ storcere il naso dal punto di vista scientifico pur apprezzando, non ci sono dubbi al riguardo, il fine narrativo ed emotivo della scelta.

Non approfondiamo, infine, il ruolo di Eden, perché ancora troppo fumoso per poterne dire qualcosa: la ragazza sicuramente porterà guai, possiamo starne certi, ma a chi e in che misura non possiamo ancora intuirlo.

Un episodio profondamente intimista e di grande impatto emotivo, in cui svetta prepotentemente il personaggio di Serena, che sta subendo un lavoro di cesellatura eccellente, rendendola uno dei personaggi più credibili e meglio definiti dell’intera serie e smarcandola dal rischio di diventare una macchietta di pura crudeltà, che noi stessi avevamo paventato in precedenza.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Consenso ai cookie GDPR con Real Cookie Banner