1×04 That’s All Folks

Dopo i primi tre episodi diretti da Danny Boyle, la curiosità di vedere che piega narrativa e visiva avrebbe preso la serie era notevole, considerando anche che questo quarto episodio e il successivo hanno come regista Dawn Shadforth, i cui background ed esperienza non sono certo paragonabili a quelle di Boyle.

Sicuramente il cambiamento di mano o, se vogliamo, di occhio dietro la macchina da presa si sente e la genialità che aveva contraddistinto i capitoli introduttivi finisce per andare persa, sostituita da un tentativo di realismo abbastanza riuscito e mantenendo, questo invece in continuità, un gioco di inquadrature atipiche supportate da movimenti di camera e stacchi spesso ipercinetici e secchi.

L’impressione è, in più occasioni, quella di vedere un film poliziesco italiano degli anni ’70 (di quelli con Franco Nero, per intenderci), il che – data l’ambientazione temporale e geografica – è anche piuttosto azzeccato.

Dal punto di vista della trama, la storia non procede in modo particolarmente spedito e l’episodio funge da sostanziale spartiacque tra le premesse introdotte nei primi tre episodi e lo svolgimento che ci aspetta nei prossimi sei: un intero episodio focalizzato sui primi giorni del rapimento, le azioni di Primo, la totale assenza di interesse di  John Paul Getty e la disperazione di Gail, unica persona che sembra davvero preoccuparsi per la sorte di suo figlio.

Di certo il pilastro dell’episodio è Luca Marinelli, che infonde il suo Primo di sfaccettature calibrate e precise: avevamo già avuto modo di constatare il suo totale disinteresse verso qualunque forma di umanità ed empatia, ma in That’s All Folks ne vediamo le interazioni con la famiglia, tra il rispetto verso lo zio, l’insofferenza verso cautele a sue estranee e l’opportunismo violento nel includere il cugino.

Soprattutto, quello che traspare è la fondamentale inadeguatezza di Primo nei confronti di un crimine tanto grande, con controparti così fuori portata: abituato ad azioni più modeste, convinto di avere partita facile, pronto a festeggiare prima ancora di una risposta, si trova non solo a cozzare contro un muro solido ma anche a non rendersi conto che in quel muro c’è una porta aperta che lui, semplicemente, è troppo cieco per vedere.

Rimanendo tra i rapitori, risulta buona la resa dei primi giorni di prigionia: tutti i membri della banda sono ragazzi più o meno giovani ed è normale che in qualche modo si instauri un rapporto con la vittima, così lontana da loro – si veda il dialogo relativo a Mick Jagger, o anche la differenza di desideri tra il giovane rampollo e il traduttore- e contemporaneamente ingenua rispetto alla realtà in cui si trova: Paul III cerca di essere all’altezza del suo nonno manipolatore, ma i suoi tentativi sono grezzi e destinati a fallire.

Passando proprio al patriarca interpretato dal sempre perfetto Donald Sutherland, il suo ruolo in questo episodio ne conferma la freddezza figlia della convinzione di essere oggetto di una tentata truffa, ma anche il suo essere un individuo tanto convinto di non poter aver torto da non rendersi conto di quanto frequentemente questo avvenga. Getty Sr. è, l’avevamo già visto, uomo pronto a giustificare qualunque propria azione come normale e logica e a disprezzare al contrario ogni cosa non rientri nel suo modo di pensare o nei suoi progetti. Il dialogo con la moglie è terribile e rivelatore, al riguardo.

– A volte è molto dura, Paul. Una donna nella mia posizione costretta a essere in costante competizione
– Con chi, cara?
– Lo sai perfettamente, Paul. Non è decoroso è… umiliante.
– Non c’è competizione. Spendere la notte con una donna è facile e io amo la varietà in campo sessuale. Ma la persona con cui trascorrere le giornate? Le lunghe, lunghe giornate. Quella è la sfida. E c’è una sola donna per me.

Ciò che, però, pesa un po’ in questo capitolo è la quasi completa inutilità del personaggio ai fini della storia: ci viene mostrato crogiolarsi nel proprio mondo alla Ebenezer Scrooge, ridere dei solleciti della nuora, lamentarsi di non fare abbastanza sesso con la moglie e poi rimandare indietro il cowboy/negoziatore Chace (Brendan Frasier) quando si rende conto che forse ha sottovalutato la situazione. Un po’ poco per un personaggio del genere, nell’economia dell’episodio, soprattutto tenendo conto di alcune divagazioni riguardanti il personale della villa di cui al momento non vediamo particolare utilità narrativa a parte la costante sottolineatura del particolare clima emotivo del luogo.

Mentre non abbiamo alcuna notizia di Paul Getty Jr., la Gail di Hillary Swank finisce maggiormente sotto i riflettori, essendo la prima vera interfaccia coi rapitori: se sul personaggio, madre disperata e con poco polso – come abbiamo visto fin qui -, c’è ancora poco da dire, non possiamo invece non ribadire la bravura dell’interprete, credibile nella sua rabbia, nella paura, nella rassegnazione verso lo schifo rappresentato dalla famiglia dell’ex-marito.

Se, riassumendo, l’episodio non è percepito – volutamente – come molto veloce nello spiegamento della trama, il suo finale porta a un’accelerazione delle vicende che, potenzialmente, dovrebbe portare a un incremento dell’attenzione dello spettatore nel seguito: una svolta necessaria per fare da contraltare alla perdita di quella genialità registica di cui parlavamo all’inizio di questo articolo.

La qualità rimane buona, ma buono ed eccellente sono due cose diverse e per una serie come questa l’aspirazione dev’essere la seconda.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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