The Flash: 4×14 Subject 9 – 4×15 Enter Flashtime

Siamo ormai a due terzi della corsa (sì, l’orribile battuta è voluta) di questa stagione di The Flash e l’impressione che siano più gli ostacoli abbattuti che quelli saltati è sempre maggiore. La trama di DeVoe si sta aggrovigliando su se stessa e finisce per ripetere, ogni certo numero di episodi, il consueto meccanismo: DeVoe ha un piano, il Team Flash lo intuisce, DeVoe è sempre uno o due passi a vanti, il Team Flash prova a fermarlo ma rimane con un palmo di naso.

Evento Jolly: DeVoe ne approfitta per cambiare corpo.

Indicazioni sul piano del villain? Nessuna.

Sappiamo soltanto che lui è intelligentissimo: lui sì, gli autori molto meno.

Subject 9 segue fedelmente questa trama, ma non si fa mancare un paio di aggravanti.

Anzitutto la nuova meta. Una cantante/musicista country il cui potere è (ma va?) sonico e viene concentrato attraverso il suono di un violino. Non sappiamo se sia peggio l’idea, la messa in pratica o l’accento sfoderato dal personaggio.

Aggiungiamo, poi, il modo goffo e inutile in cui si è cercato di dare a Ralph una profondità emotiva facendolo infatuare di Izzy, la country-meta. Nel giro di poche ore o, al massimo, un giorno o due, Elongated Man finisce per esserne coinvolto al punto dal vivere come un trauma profondo la sua perdita a fine episodio: troppo veloce e approssimativo per essere credibile o anche solo sensato; un conto è il senso di colpa generico per non essere riusciti a salvare la vita di una persona, un altro è quel tipo di dolore causato dalla perdita di qualcuno che ami: confondere il secondo col primo non aggiunge profondità al personaggio, bensì lo svuota ulteriormente di significato.

Altra forte lacuna nella trama: il volontario smascheramento di Barry e Ralph per convincere Izzy. Davanti a loro c’è una persona che conoscono da pochi minuti, di cui non sanno se potranno fidarsi e le rivelano la propria identità come nulla fosse. A questo punto perché indossare le maschere e non mettere invece un bel cartello “Barry Allen è Flash” in giro per Central City? Si sarebbe risolta anche la questione del processo con parecchio anticipo.

La scelta poi di proseguire con il continuo cambio di corpi da parte di DeVoe finisce per rasentare il ridicolo: vedere Sugar Lyn Beard con tanto di sedia e casco supera la soglia del ridicolo e le interazioni con Kim Engelbrecht nei panni di Marlize non riescono a essere neanche lontanamente convincenti; sembra più di vedere due amiche che, ubriache, fanno finta di essere marito e moglie, se rendiamo l’idea.

Non che, sul finale, la stessa situazione con Miranda MacDougall sia migliore, anzi: sarebbe carino, ad esempio, capire perché l’accento viene mantenuto nonostante la mente sia diversa. Poteri del country, evidentemente.

Enter Flashtimerappresenta un discorso a parte e dimostra che, sganciandosi dalla trama orizzontale, c’è ancora qualche possibilità interessante che può essere sfruttata. L’idea di ambientare tutto l’episodio nel Flashtime, ovvero in quella sorta di tempo rallentato già visto durante il processo a Barry, è di sicuro interessante e permette di giocare su alcune variabili non molto sfruttate in precedenza, in particolare la mancanza di tempo.

Un velocista è, per definizione, un personaggio che ha molto più tempo rispetto a chiunque altro, tanto da poterlo quasi considerare infinito: dare invece una precisa scadenza imprescindibile e inaggirabile aggiunge pathos e tensione, almeno potenzialmente.

Sebbene, infatti, l’idea sia buona e l’episodio, nel complesso, sia superiore alla media di quanto visto in questa stagione (cross-over escluso), diversi difetti lo lasciano sulla soglia della sufficienza e ben lontano da quella della bontà.

La soluzione finale è l’elemento più critico: sebbene a prima vista l’idea di usare il dispositivo adoperato per salvare Barry nel primo episodio sembri perfettamente funzionale, c’è un aspetto che smonta tutto; la Speed-Force è legata a quel dispositivo perché replica il DNA di Barry. Nel momento in cui questi lo recupera e si fa inseguire, non è chiaro per quale motivo, al momento del lancio, la Forza della Velocità debba continuare a inseguire il dispositivo e non rimanere agganciata alla fonte originale di quel DNA. Sarebbe stato sufficiente trovare un modo perché Flash si facesse inseguire fino alla bomba per evitare questo strafalcione, ma tant’è.

Sempre per rimanere sul tema della soluzione finale, che Iris sia uno dei personaggi più detestati dal pubblico riteniamo sia assodato, così come il fatto che da inizio stagione gli autori abbiano cercato – inutilmente – di renderla più interessante e utile, al punto di aver forgiato l’irritante e ridicolo “we are the Flash“, ripetuto come un mantra anche in questo episodio: in quest’ottica, usare lei per fornire a Barry l’idea risolutiva dopo che non ci sono arrivati né HarryCisco è ridicolo, forzato e pretestuoso. Non è in questo modo che si rafforza lo status di un personaggio che, prima di questa stagione, non aveva avuto alcun ruolo paragonabile.

Sulla resa effettiva del cosiddetto Flashtime siamo abbastanza combattuti: sebbene più volte si ripeta, correttamente, che non è un fermare il tempo ma muoversi estremamente velocemente (anche solo tramite microvibrazioni), l’effetto finale non convince a pieno, più come impressione generale che per cause specifiche.

Ciò non toglie che l’episodio è stato quanto meno gradevole e sicuramente più interessante della media, complice la presenza di Jay Garrick, che stuzzica sempre il nostalgico che è in chi scrive.

Cosa ci aspetta ora?

In ordine sparso: il vero piano di DeVoe (magari prima della fine della stagione), l’identità della nuova pupilla di Jay (perché siamo certi che comparirà), la rivelazione dell’identità della cameriera comparsa per la prima volta durante il cross-over (ma davvero qualcuno non l’ha capito? Davvero?) e, rullo di tamburi, nel prossimo episodio Iris diventa Flash, con somma gioia di tut… no, scusate, non è vero.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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