Je suis o non Je suis?

Ok, data l’ondata di post al riguardo su Facebook uso casa mia per dire la mia e chi ha voglia legga, chi non ha voglia amen.
La questione, per chi non lo sapesse, è una vignetta pubblicata da Charlie Hebdo nell’ultimo numero.

La vignetta in questione è questa:

Ora, partiamo da un paio di premesse che vorrei venissero usate nella lettura di quanto viene dopo.
1. trovo la vignetta in sé sicuramente brutta e di cattivo gusto
2. mi sembra piuttosto evidente che l’intenzione della vignetta non sia deridere i morti ma il fatto che, nel sistema all’italiana, chi ci rimette sono le persone comuni. Ripeto, fatta in modo assolutamente contestabile, anche ripugnante, se volete, ma di certo non per irridere i morti.

Ci siamo fin qui? Bene.

Ora passiamo però a chiarire un paio di cose: molta gente si è indignata gridando allo scandalo, al disgusto, anche alla censura e hanno ricevuto in risposta commenti, anche piuttosto supponenti, di chi risponde “ma come? non eravate tutti Charlie? e ora vi scandalizzate?”.

Per favore, cerchiamo di contestualizzare le cose, ok?

Quando ci fu la nota vicenda, dire “Je suis Charlie” era, fondamentalmente, dire “nessuno deve morire per avere fatto vignette anche se insultanti o brutte”. Non era affermare “no, ragazzi, Charlie ha sempre pubblicato roba perfetta e non criticabile”.
Si nota la differenza, vero?
Io ho detto “Je suis Charlie” e lo dico ancora, ma come esigo che venga rispettato il diritto di satira, esigo anche di avere il diritto di affermare che una certa satira la trovo triste, offensiva, di cattivo gusto o, semplicemente, brutta.
Per la cronaca: molte vignette su Maometto o sul Cristianesimo pubblicate da Charlie sono state assolutamente altrettanto criticabili e, conoscendo il mio rapporto con la religione, si dovrebbe capire quanto mi ritenga super partes al riguardo.
Charlie ha questo (o questa mancanza di) stile: non l’ho mai comprato, non lo comprerò mai, ne sono consapevole e rimango comunque convinto di quel “Je suis Charlie”.

Il punto che fa la differenza è il livello di reazione a cui si è disposti ad arrivare:

Si può dire che fa schifo? Sì, è legittimo e nessuno può assumersi il diritto di affermare il contrario: soprattutto può giocare sul “Je suis Charlie” per dire “ora non potete criticare”; criticare è un conto, chiedere la censura un altro, uccidere un altro ancora. La prima cosa è legittima, le altre due no.
Si può dire che magari ci sarebbe voluto un maggior gusto nella scelta di vignetta e tempi? Certo che si può, è sicuramente un diritto, ma non si può pretendere da Charlie, dato che non è esattamente nelle corde di questo giornale porsi questioni del genere.
Si può chiedere la censura o la chiusura? Come detto sopra, no. Fortemente no. Perché se si chiede la censura a causa di buon gusto, nulla vieta che prima o poi la si possa chiedere perché, che ne so, pubblica foto di due uomini che si sposano.
Si deve morire perché si pubblicano vignette di merda? Devo rispondere davvero a questa domanda?

Quindi, da una parte criticate pure Charlie, ma ricordandovi che questo è il contenuto che ha sempre pubblicato e che l’indignazione solo su alcuni temi è un po’ sospetta e lascia il fianco al dubbio che ci si indigni solo se toccati sul vivo, ma, dall’altra, lasciate che chi prova schifo per una certa vignetta lo dica: la satira dev’essere libera espressione, ma deve anche accettare la libera espressione di ritorno.
Lasciate che lo dica finché non ne chiede la censura o la chiusura o peggio e no, non è in contraddizione con dire Je suis Charlie e se non ne vedete la differenza mi spiace sinceramente.

Da parte mia, se non si fosse capito, ribadisco la mia posizione: la vignetta è brutta e probabilmente fuori luogo. Detto questo, Charlie ha diritto di pubblicarla e chiunque si ritenga offeso di criticarla e, nel caso, non comprarlo più: ma d’altronde dubito che, in Italia, molti comprino o abbiano mai comprato Charlie Hebdo, sbaglio?

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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