81. Un caffè con McCurry

Dopo averne visto la presentazione poco più di un mese fa stavo quasi rischiando di non andare a vedere la mostra di McCurry al Museo della Scienza e della Tecnica.

E mi sarei perso qualcosa di notevole.

Non c'è bisogno che io spieghi chi sia Steve McCurry e, soprattutto, che spieghi la qualità del suo lavoro, per cui questo post sarebbe quasi inutile.

Però ogni mostra è un qualcosa di a sé stante e questa non fa differenza.

Il fatto che sia stata fatta in collaborazione con Lavazza potrebbe far storcere il naso ai puristi, ma alla fine se i motivi sono validi (tutto parte dal progetto umanitario Tierra di Lavazza) e la qualità delle opere merita, che male c'è?

Per quanto mi riguarda entrambi i presupposti sono rispettati, per cui mi godo la mostra “From these hands” e sogno di comprarne prima o poi il libro.

“From these hands” è un viaggio nei popoli del caffè.

Non solo in Sudamerica, che siamo abiutati a pensare come unico continente d'origine o quasi, ma anche Africa (Etiopia in primis), Vietnam, India, Sri Lanka.

E McCurry ci mostra la gente che nei luoghi di produzione del caffè vive coltivandolo o dove lo si coltiva o, semplicemente, ne gode i frutti.

Quel che è impressionante guardando le foto non è tanto vedere le normali differenze che possiamo trovare da un Paese all'altro, da un'etnia all'altra, bensì nelle tante somiglianze più o meno nascoste che l'artista riesce a mostrarci.

Somiglianze negli sguardi fieri, nei visi induriti, in occhi appannati dall'età, in visi di fanciulli imbronciati.

Anche nel modo in cui gli animali interagiscono con gli uomini.

Mai come in questi casi viene da ricordare che siamo tutti figli della stessa Terra e ciò che ci differenzia sono solo sfumature su una base comune, sfumature che ci arricchiscono e permettono di arricchirci a vicenda.

McCurry ci riempie di colori, di visi, di primi piani definiti e sfondi sfumati e ci racconta storie.

O meglio ce le fa intuire.

Ci fa domandare cosa ci sia dietro quello sguardo distante, dietro gli occhi bicolori di un vecchio etiope, dietro il broncio di una bimba indiana con una maglia da calcio.

D'altronde è lui stesso a dirlo: “per me una foto per essere buona deve raccontare una storia”.

Ecco, in questa mostra ci sono oltre 60 foto.

Oltre 60 storie da scoprire, tutte legate più o meno strettamente dal filo comune del caffè.

Impossibile poi non fare un confronto tra queste foto di McCurry e l'opera di Salgado vista al cinema pochi giorni fa: dove Salgado racconta in bianco e nero e profondità di grigi, McCurry trasmette colori saturi e potenti, mentre la forza di Salgado sta nelle foto panoramiche da angolazioni anche assurde, McCurry (soprattutto in questa mostra, diciamolo) ci dona gli occhi delle persone, le loro anime, i loro sguardi.

Due modi di raccontare per immagini che si trovano forse agli antipodi eppure arrivano al cuore allo stesso modo, come due estremi che finiscono per toccarsi.

L'ambientazione e l'allestimento della mostra sono assolutamente degni di nota: la Sala delle Colonne del Museo è evocativa, avvolgente, riservata e le foto, stampate a dimensione enorme, finiscono per avvolgere una per una lo spettatore che cammina letteralmente tra pareti costituite dalla mostra.

La mostra è ancora visibile fino al 5 luglio.

Se potete fateci un salto.

Ne vale la pena.

(costo d'ingresso al Museo 10 euro, mostra inclusa e pure il Museo è notevole).

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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