44. Il regno dei sogni e della follia

Ieri e oggi, nei cinema del circuito UCI e The Space, è (stato) possibile assistere al documentario che dà il titolo a questo post.
Si tratta di un film di un paio d’ore che racconta qualcosa dello Studio Ghibli e dei suoi due elementi di spicco, Hayao Miyazaki (che spero conosciate tutti, almeno di nome) e Toshio Suzuki, produttore dello studio, con riferimenti anche a Isao Takahata, altro regista di cui abbiamo visto recentemente “La storia della principessa splendente”.

Il documentario si focalizza sulla parte finale della produzione dell’ultimo capolavoro del Maestro Miyazaki, “Si alza il vento”, nello stesso periodo in cui anche “La storia della principessa splendente” era in fase di completamento: non ci vengono raccontati tutti gli aspetti della produzione, né tutti i retroscena, ma ci vengono mostrati scorci, momenti, piccole fotografie che ci fanno scoprire qualcosa in più del Maestro e di chi lo circonda.

Si tratta di un documentario molto giapponese, poco narrato e molto simile a racconti composti di poche immagini, frasi, fotografie: i dialoghi sono molto orientali e frasi apparentemente banali per un occidentale si accostano a piccole perle che sarebbe facile perdersi non seguendo il tutto a dovere.

Mi è quindi difficile raccontare ciò che il documentario trasmette, mi accontenterò di riportare piccole foto a parole, sperando che in qualche modo rendano l’idea e l’emozione.

  • La routine del Maestro, che arriva in studio alle 11 e se ne va alle 21. Sempre.
  • L’inaffidabilità di Takahata: “sta finendo il lavoro?” e risate in risposta.
  • Il rapporto contrastato tra Takahata, che scoprì Miyazaki, e Miyazaki stesso: un giorno il Maestro poteva incensare il suo vecchio mentore, il giorno dopo poteva dirne peste e corna.
  • Le capre finte che Miyazaki si tiene in casa. “Erano parte di un’esposizione legata ad Heidi. Finita l’esposizione erano chiuse in un magazzino. Mi hanno fatto pena e le ho prese con me”.
  • La produzione del film in corso mentre ancora i meravigliosi storyboard non sono finiti.
  • Il vedere i 100 e passa addetti al film lavorare su un singolo fotogramma alla volta.
  • La ginnastica fatta da tutti i dipendenti (Miyazaki incluso) durante l’orario di lavoro
  • L’originale modo di trovare il doppiatore per “Si alza il vento”.
  • “Devo sistemare questo punto, altrimenti la gente dice che non capisce. Ci sono persone che fanno un vanto di non capire
  • Il senso di adolescenziale irresponsabilità che traspare in alcuni momenti della produzione: fare scelte azzardate e riderne dicendo “chissà che ne verrà fuori?”. E tu, guardandoli, ti chiedi se non sia proprio quello il trucco.
  • “Ho chiesto al Maestro se non riuscisse a disegnare gli aerei perché gli piacevano troppo. Ha detto che non ci riusciva e basta” (ma intanto li ha disegnati, eccome se li ha disegnati – NdA)

Quello che traspare è un uomo che ama il suo lavoro, che definisce “Porco Rosso” un film scemo perché voleva fare un film per bambini e “quello non è un film per bambini”, un uomo che decide di ritirarsi e sul foglio da leggere in conferenza stampa scrive come prima frase “mi vedo a lavorare altri dieci anni”.
Un uomo che lotta e combatte dove può e quando può, ma lascia andare con la stessa forza d’animo di quando non molla.
Verso la fine gli chiedono “Pensa mai a cosa sarà dello Studio Ghibli?” e lui risponde “Ah, sparirà. Non c’è altra possibilità.” con la stessa serenità con cui avrebbe potuto dire che quella sera andrà a letto presto.
Mancanza di interesse?
No, ovviamente no.
Lui stesso aggiunge “non posso farci niente, per cui perché starci male?” (e se mettere in atto questa perla fosse così facile come lo fa sembrare, quanto tutti noi staremmo meglio).

Poco prima della fine, poco prima della conferenza stampa, Miyazaki guarda fuori dalla finestra, chiama la regista del documentario e le mostra i tetti.
E racconta.
Racconta di come sarebbe facile arrampicarsi, saltare, muoversi da un filo della luce all’altro, volare, guardare la città dall’alto.
E ad ogni parola la regista mostra, in montaggio, scene dei suoi film in cui avviene ciò che lui dice.

Ma il punto non è quello.

Il punto è un uomo che ha raccontato per cinquant’anni, che guarda fuori dalla finestra e ricomincia a immaginare e narrare.

E di narratori del genere non ne abbiamo mai abbastanza.

 

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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