Sock Monkey

Cos’è una Sock Monkey?
Si tratta di un pupazzo a forma di scimmia ottenuto da vecchi calzini, un giocattolo dei tempi andati tipico nella cultura statunitense e canadese più che nella nostra.
Detto questo, però, cos’è invece “Sock Monkey”?
Si tratta dell’ultimo volume uscito in Italia per la collana Psycho Pop curate per Edizioni BD da Micol Beltramini, di cui ho già avuto modo di parlare qui.
Sono giorni che rimando questa recensione perché, davvero, parlare di questo volume è difficilissimo senza cadere nel banale o senza rilevare troppo e rovinare pertanto la lettura.
La struttura di Sock Monkey è apparentemente quella dei vecchi fumetti che comparivano sui giornali statunitensi, quelli che alla fine di ogni pagina aggiungevano poche parole a mo’ di riassunto/titolo della pagina stessa.
Si apre il volume, si cominciano ad ammirare le prime meravigliose, dettagliatissime, tavole e lo si affronta pensando di leggere la classica storia per bambini.
D’altronde abbiamo una scimmia fatta di calzini (Zio Gabby), abbiamo un corvo di pezza con occhi di bottoni (Sir Corvo), abbiamo giocattoli e animali parlanti.
Cosa può essere se non una storia per bambini?
Dipende da cosa intendete per “storia per bambini”.
Se vi riferite alle favole Disney, alle versioni edulcorate della favole dei fratelli Grimm, allora no. Sock Monkey non è una storia per bambini.
Se invece la paragonate a com’erano in origine le storie dei fratelli Grimm, a come erano in origine, prima del buonismo, prima del revisionismo, tutte le storie, allora forse sì.
Ma etichette a parte, Sock Monkey è una storia.
Anzi, Sock Monkey è tante storie.
Tante storie diverse, in cui l’ambientazione stessa sembra contraddittoria, in cui i personaggi sono sempre gli stessi eppure sempre diversi e in cui la vicenda prende pieghe costantemente inaspettate.
Come la vita.
O come le storie migliori.
Senza edulcorare, senza ripulire, senza avere l’obiettivo di spiegare tutto o di rassicurare; tutt’altro, l’inquietudine è costantemente dietro l’angolo, in un’immagine, in una battuta, in una scena, in un’inquadratura.
L’obiettivo è solo raccontare, far vivere i personaggi e, attraverso le emozioni di essere di pezza, trovare piccole o grandi parti di noi.
E sfido chiunque a non provare emozioni contrastanti leggendo “Baby Bird” o a non capire ed empatizzare sfogliando “Heartbreak”.
E parte delle emozioni nasceranno anche dal sentirsi presi alla sprovvista: come possono personaggi di pezza e disegni tanto belli dare certi pugni nello stomaco? Come fanno a descrivere così bene la vita, i sogni e gli incubi?
E quando arriverete all’ultima storia, “Uncle Gabby”, capirete. Sentirete un sapore amaro dalla prima pagina, pur non capendone il motivo. Sentirete l’approcciarsi della fine del volume, ma anche dell’epilogo delle avventure, con quel sapore di “è stato bello” che ci giunge prima ancora di finire.
Avrete (non tutte) le spiegazioni.
Capirete.
Ma a quel punto vi importerà poco, perché alla fine non tutte le storie vanno capite.
Spesso vanno solo vissute.
Come i sogni migliori.
Come le vite migliori.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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