Nel labirinto delle Aquanae
Labirinto.
È una parola che ci accompagna fin da quando siamo bambini.
Nei giochi, nelle storie.
Iniziamo a scoprirne il significato prima ancora di conoscerne la provenienza storica, i miti legati al concetto stesso del labirinto, a partire da quello che è strettamente legato al mito di Teseo, di Arianna e del Minotauro (a proposito, se approfondite un po’ scoprirete che Teseo era parecchio stronzo, giusto per smontarvi un mito).
Eppure quante volte ci è capitato davvero di avere a che fare con un labirinto, di perderci all’interno, di viverlo?
Una possibilità di farlo è in provincia di Parma ed è il labirinto più grande esistente, progettato da Franco Maria Ricci e aperto al pubblico dal 2015. Stiamo parlando di un enorme parco il cui percorso interno raggiunge i 3 km e le cui pareti sono interamente fatte di piante di bambù: si tratta del Labirinto della Masone.
Se siete curiosi come me e avete voglia di qualche esperienza un po’ diversa, già il fatto di potervi perdere in un labirinto del genere dovrebbe farvi decidere di correre a visitarlo, ma se potete vi suggerirei di sbrigarvi e di farlo uno dei prossimi due venerdì.
In questi giorni il Labirinto apre di notte ed è possibile attraversarlo al buio, illuminati in alcuni casi da riflettori sparsi per i sentieri e in altri da nulla se non la torcia del vostro cellulare ed è così che l’esperienza, secondo me, raggiunge il suo apice.
Il silenzio della campagna, la luna piena e le poche stelle che filtrano dove i bambù lo permettono, le voci lontane di altri avventori, il rumore dei propri passi, tutto permette di perdersi letteralmente, di farsi avvolgere da una sensazione di essere altrove, altrove dai propri luoghi, dai propri pensieri, dal proprio io. Perdersi nella certezza di ritrovarsi, perché questo labirinto non vuole spaventare, vuole avvolgere e coccolare, ma ciononostante al buio porta con sé le stesse ombre che sono in noi, quelle che teniamo nascoste ma siamo consapevoli siano lì ad attenderci, a farci paura solo perché ancora non ne conosciamo l’essenza, a spaventarci solo perché non le abbiamo del tutto fatte nostre o accettate.
Camminare nel labirinto di notte significa guardare quelle ombre e rendersi conto che sono parte di noi, che possiamo abbracciarle e ridere e, quando torneremo alla luce, potremmo anche renderci conto che ne sentiremmo la mancanza se non ci fossero. Che sono noi quanto lo è la luce del giorno.
Così come le Aquanae, creature del mito che a un certo incrociamo in queste serate speciali e che ci avvolgono coi loro suoni, in parte melodiosi e in parte cacofonici, parte canto e parte rumore, parte natura e parte modernità. Ci accolgono, ci avvolgono, ci inquietano, ci trascinano nel loro canto per poi lasciarci a un’invasione finale di suoni che spiazza, travolge, insieme a luci di lucciole elettroniche che ci volano davanti. E di nuovo, quando siamo più spiazzati, quando ci sembra di non sapere chi e cosa siamo, torniamo a noi, accompagnati per mano proprio da quei suoni che sembrava ci stessero facendo perdere, a ricordo che – come con il labirinto – spesso per essere completamente noi dobbiamo essere disposti a perdere ciò che pensiamo di sapere ed essere, per poi – se davvero ci appartiene – ritrovarlo come parte di un tutto ben più completo.
Se potete fatevi questo regalo, avete ancora due settimane: sul sito trovate tutte le indicazioni. Andate, perdetevi nel labirinto di notte e quando giunge il vostro momento indossate le cuffie e raggiungete lo spiazzo dove incontrerete le Aquanae.
Buon viaggio e buon ritorno.