78. (Good) Will Hunting
Ogni tanto capita di dover recuperare qualche lacuna più o meno grave e ieri sera ho deciso che era giunto il momento di recuperare Good Will Hunting o, nella versione italiana, Will Hunting – Genio Ribelle, con quel classico sottotitolo da adattamento italiano anni 80/90.
Non nego di averlo voluto vedere un po’ perché mi mancava guardare un film con Robin Williams e un po’ perché dagli spezzoni che negli anni avevo visto immaginavo che avrebbe potuto lasciarmi spunti e impressioni.
Uscito nel 1997, scritto e interpretato dagli allora poco più che venticinquenni Matt Damon e Ben Affleck che vinsero per questo il premio oscar per la miglior sceneggiatura originale (senza contare quello vinto da Williams stesso come migliore attore non protagonista), Good Will Hunting è un racconto di guarigione.
Guarigione dai traumi, guarigione dalle paure, guarigione dal timore stesso di vivere.
Will, il protagonista, è un genio della matematica. Sono un po’ restio a usare questa parola, che ormai è talmente abusata da farne perdere il senso, ma in questa situazione è tranquillamente applicabile, anche se la rappresentazione che abbiamo dell’intelligenza del ragazzo è un po’ stereotipata, figlia dei suoi anni. Ma, a tutti gli effetti, Will è un genio, uno di quelli che nascono una volta ogni cento anni, che – come dice lui stesso – riescono a ”suonare” le teorie come altri riescono a suonare il pianoforte. Per lui la matematica e la conoscenza in genere sono un porto sicuro, un luogo mentale dove tutto è facile – fin troppo – e niente lo può ferire.
Al di fuori c’è il mondo, un mondo che l’ha segnato quando era ancora bambino, un mondo in cui cerca di non avventurarsi tenendo a distanza tutto e tutti, tranne pochi amici eletti.
La sua controparte è Sean – lo psicologo interpretato da uno strepitoso Williams – che il mondo l’ha vissuto eccome, che ha fatto scelte che altri hanno considerato fallimentari e che non ha mai rimpianto, che ha amato con tutto se stesso e sofferto proprio per questo.
Will conosce tutto, ma non conosce la vita. Sean conosce la vita, ma non conosce tutto.
Questa differenza è ciò che prima li farà scontrare e poi permetterà loro di creare un rapporto basato sul rispetto reciproco, la stima, la voglia di alimentarsi a vicenda di ciò di cui l’altro è ricco.
Will ha paura. Paura di amare, perché l’amore potrebbe finire, potrebbe non essere ricambiato, potrebbe essere ferito, abbandonato. Paura di vivere al di fuori della sua bolla, perché se conosci ciò che ti circonda allora ti illudi che non avverrà mai nulla di brutto. Paura di vivere le esperienze sulla propria pelle, illudendosi che sia sufficiente impararle attraverso le parole altrui per averle acquisite.
Will è convinto di poter capire il mondo incasellandolo, che basti mettere due o tre spunte accanto ad alcune caratteristiche per definire una persona, una situazione, la vita. Sean sa che non è così e glielo rinfaccia in uno dei monologhi più citati dell’intero film.
Se ti chiedessi sull’arte probabilmente mi citeresti tutti i libri di arte mai scritti… Michelangelo. Sai tante cose su di lui: le sue opere, le aspirazioni politiche, lui e il papa, le sue tendenze sessuali, tutto quanto vero? Ma scommetto che non sai dirmi che odore c’è nella Cappella Sistina. Non sei mai stato lì con la testa rivolta verso quel bellissimo soffitto… mai visto
(…)
Se ti chiedessi sull’amore probabilmente mi diresti un sonetto. Ma guardando una donna non sei mai stato del tutto vulnerabile… non ne conosci una che ti risollevi con lo sguardo.
(…)
Sei orfano giusto? Credi che io riesca a inquadrare quanto sia stata difficile la tua vita, cosa provi, chi sei, perché ho letto Oliver Twist? Basta questo ad incasellarti? Personalmente, me ne strafrego di tutto questo, perché sai una cosa, non c’è niente che possa imparare da te che non legga in qualche libro del cazzo. A meno che tu non voglia parlare di te. Di chi sei.
Sean, dal canto suo, è rassegnato. Sopravvive. Dopo la morte della moglie è rassegnato a esistere, non più a vivere. A non vivere esperienze, raccontare e basta. A celebrare il passato senza permettersi un futuro.
Ma sarà proprio la celebrazione delle esperienze passate di Sean a mostrare a Will la necessità di vivere e sarà il vedere l’effetto di chiudersi al mondo di Will a ricordare a Sean che la sua vita non è terminata.
Perché la paure ci sono, ci saranno sempre, ma nostro compito è non permettere che governino le nostre azioni e ci impediscano di vivere, anche a costo di rinunciare a tutto ciò che pensiamo essere vero. O sicuro. O entrambi.