16. La strada per tornare
Dopo aver espresso tutta la mia indignazione sulle indicazioni montane, torno per oggi a parlare della gita di ieri.
I Piani dei Resinelli si trovano a circa un’ora da Milano, ad Abbadia Lariana: io li avevo scoperti per caso l’anno scorso, quando cercavo gite da fare da casa in giornata, e ieri ho deciso di tornarci sia perché è un bel panorama facilmente raggiungibile, ma anche perché volevo mettermi alla prova.
Quando andai l’anno scorso, infatti, pur essendo un percorso assolutamente gestibile, fatto anche da persone con passeggini e da anziani, io feci fatica soprattutto nella prima parte: pesavo quindici chili in più, ero meno allenato, più complessivamente affaticato, motivo per cui volevo sperimentare come fosse fare quel tragitto nelle mie condizioni attuali.
Ma a parte queste motivazioni personali, la terrazza metallica costruita pochi anni fa merita da sola il breve viaggio: si tratta di un punto di osservazione a strapiombo sul lago di Lecco, a circa 1350 metri di altezza; è incredibile come basti allontanarsi di 5/6 metri dalla parete rocciosa alle proprie spalle per trovarsi immersi nei venti che soffiano costantemente, in un silenzio rotto solo dal vento stesso e dalle persone che sono intorno, mentre si osservano il panorama sottostante e i monti circostanti.
Ieri c’era vento anche a valle e questo faceva sì che si notassero le increspature sull’acqua anche da quell’altezza, ma non vedendo effettivamente l’acqua muoversi era come osservare un diorama estremamente realistico o una foto satellitare molto dettagliata.
Trovarsi lì, all’estremità di quella terrazza, se non si soffre di vertigini è un’esperienza che penso sia superata solo da quella di chi raggiunge ben altre vette con molta più fatica.
Ci si trova davanti al vuoto, a un mondo così minuscolo da diventare insignificante, col vento che soffia addosso e nelle orecchie, con le persone vicine che non disturbano mai più di tanto.
La sensazione è quella di essersi fermati, di essere scesi momentaneamente dalla propria vita, da ciò che ci circonda, di essere in una pausa esterna che permette di respirare a pieni polmoni e ascoltare se stessi anche se solo per poco tempo. Anche il cellulare prende poco e male e alla fine lo si usa giusto per immortalare il momento: al massimo lo si condividerà dopo, tornati nel mondo, il che è anch’esso un simbolo non da poco.
Istanti del genere somigliano a quelli che spesso si vedono nei film, avete presente? Si vede qualcuno che è fermo a riflettere all’estremità di un molo, sulla sponda di un fiume, in riva al mare, sulla cima di un grattacielo, staccato da ciò che è stata la sua vita fino a quel momento e a ciò che arriverà dopo.
Ecco, raggiungere quel punto, fermarsi, permettersi di viverlo finché se ne ha desiderio, è concedersi una pausa del genere, che si sappia di averne bisogno o meno, che addirittura possa farci bene o meno: non sempre è così, l’ho imparato tempo fa a mie spese.
Io ieri sono stato lì un po’. Mi sono appoggiato alla ringhiera guardando verso il basso. Ho fatto le foto e i video di rito. Ho sorriso – non con cattiveria o supponenza, assolutamente – di chi aveva paura di avvicinarsi: anzi, ho ringraziato silenziosamente il fatto di non avere quella paura, così da potermi godere appieno quel momento. Ho lasciato vagare la mente, per una volta non in cerca di soluzioni, ma libera di andare, di riconoscere quanto di bello c’è ora nella mia vita e anche quello che (ancora?) non va.
Poi, a un certo punto, ho dovuto convincermi a tornare. Non tanto per la fame che si sarebbe sentita a breve, né per la temperatura che lì era perfetta: solo perché a un certo punto devi tornare e i film questo non te lo insegnano.
Lì vedi sempre i protagonisti già giunti nel punto in cui riflettono e poi altrove, a pausa conclusa: la strada per arrivare e quella per tornare non ci sono mai.
Quelle stanno a noi, come sempre.