Di non detti, tempo e paure

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Siamo al 20 gennaio 2021 e sto per scrivere parole che penso di aver ripetuto tante di quelle volte da sfinire me stesso e chi mi legge. Eppure mi rendo conto che servono ancora. O forse no, perché se continuo a ripeterle e restano lettera morta forse non serve dirle, no? Non so rispondere neanch’io, anche perché io, per primo, riesco a tradirle e a infuriarmi con me stesso proprio per questo motivo.

Per cui facciamolo come promemoria, vi va?

E facciamolo come esercizio.

Anzi, due esercizi, collegati ma differenti.


Esercizio n. 1

Prendete le persone nella vostra vita. Una per una. Non importa se vita virtuale o meno, importa se le ritenete parte di ciò che siete e vivete.

Ci siamo?

Bene. Ora immaginate che da questo momento non abbiate più modo di sentirle. Mai più. Non chat, non messaggi, non telefono, men che meno vita reale. Da questo momento non sono più nella vostra vita. Non potete far loro sapere nulla di voi, non potete sapere nulla di loro.

Indipendentemente da quello che provate come mancanza, siete in pace con le cose che avete detto loro? Avete detto tutto ciò che volevate dire? Avete comunicato loro tutto ciò che pensate e provate? E se no, perché?

Perché lo sanno? Spoiler: non è detto. O anche se lo sanno magari hanno bisogno di una conferma. O magari non lo sanno esattamente come lo provate.

E se non lo sanno e sapete che non lo sanno, perché non glielo avete detto? Perché c’è tempo? No. Non c’è. E ciò che abbiamo vissuto in questo ultimo anno ve lo dimostra, se ancora ne avevate bisogno. Non è detto ci sia tempo. Non è detto ci sia per un abbraccio che vi siete detti “darò la prossima volta”. Pensate a quante persone vedevate spesso e ora non vedete da settimane o mesi. Non c’è sempre tempo. Non c’è e basta.

E un altro perché: la paura. Sì, c’è anche lei, ma di lei ne parliamo dopo.

Fine Esercizio 1


Esercizio n. 2

Qui si va sul pesante, per cui se non ve la sentite passate sotto.

Riprendete le stesse persone. Amici. Parenti. Partner. Cotte. Tra dieci minuti scoprite che è successo qualcosa: un incidente, una malattia di cui non sapevate nulla, quello che volete. Quella persona non c’è più. È morta.

Cosa genera in voi questo pensiero?

Non sono idiota, so bene che è orribile e che fa male, ma quanto male fa? Perché diciamocelo: ci sono persone la cui scomparsa vi farà male e lascerà cicatrici per sempre e altre che vi colpiranno, che vi mancheranno anche, ma che non saranno un segno definitivo nella vostra anima. Non è un pensiero crudele, è banalmente così. Non siamo in gradi di gestire lo stesso livello di dolore per chiunque potremmo perdere.

Ecco, ora vi chiedo: focalizzatevi sulle persone che vi rendete conto sarebbero una di quelle cicatrici e chiedetevi, lo sanno? Sanno che se non ci fossero più una parte di voi sparirebbe con loro? Sanno quanto importanti sono per voi? GLIELO AVETE DETTO O FATTO CAPIRE ESPLICITAMENTE?

E se no, perché?

Fine esercizio 2


Entrambi gli esercizi si concludono con un perché e per entrambi le risposte sono quelle che ho fornito e probabilmente altre.

Ma stavolta voglio essere onesto e rispondere per primo.

No, non tutte le persone importanti nella mia vita sanno esplicitamente ciò che provo, non completamente. E non tutte sanno che se succedesse loro qualcosa, una parte di me morirebbe con loro.

E la mia risposta al perché è paura.

Quella maledetta paura che da sempre cerco di combattere, anche a furia di frasi appuntate mentalmente che più di una volta mi hanno guidato – per quanto possa sembrare ridicolo.

Paura di cosa? Nel mio caso paura di perdere qualcosa di bello e sicuro in nome di qualcosa di potenzialmente ancora più bello, ma che non è detto possa essere. Lasciare il noto per l’ignoto e sapere che quel “peggio che potrebbe accadere” che spesso uso come termine di confronto è comunque qualcosa di indesiderabile, se non proprio doloroso.

Eppure, se domani scoprissi che questa mia paura mi ha impedito di esprimere qualcosa di bello e importante a qualcuno che non potrà più sentirlo, finirei per odiare me e la paura stessa e non darmene pace.

Quindi?

Quindi io, personalmente, sto lottando con questa impasse e continuo a odiarmi perché non l’ho ancora superata e scrivo qui, pubblicamente, che mi scuso con chi tali frasi non le ha ancora ricevute, anche se magari le ha intuite.

Ma lo farò. Devo farlo. Paradossalmente anche qui per paura, ma una paura più giusta: che arrivi un momento in cui non potrò più farlo e io, in quelle due occasioni, non mi ci voglio trovare. Mi è successo e non voglio che mi capiti mai più: questo mi spaventa ancora di più. E dovrebbe essere lo stesso per voi: fate quei due esercizi e se ci sono parole e sentimenti in sospeso, portateli a conclusione il prima possibile.

Non c’è tempo.

E non è detto lo sappiano. O non è detto che basti ciò che sanno.

Fatelo per voi e per loro.


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Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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