In piedi
Ho riflettuto un po’ se scriverne o meno, non tanto perché di cose da dire non ce ne siano, ma perché non mi sento titolato. C’è chi ne sta parlando da ieri con argomentazioni, parole e concetti migliori di quelli che potrò esprimere io qui sopra.
Eppure, comunque, non credo sia giusto non scrivere nulla.
Mi riferisco alla nuova notizia di uno o più gruppi Telegram che sono stati immediatamente indicati come di Revenger Porn: oltre 50.000 iscritti (vi rendete conto di quanti sono) pronti a scambiarsi immagini private di donne che ovviamente non hanno dato il proprio consenso.
E non solo immagini intime. No. Si parla di immagini normalissime prese sui social e utilizzate per sollecitare insulti, commenti delle peggiori specie.
Ma ovviamente si va oltre, perché si va sempre oltre, e si arriva a padri di famiglia che chiedono ad adulti di masturbarsi sulle foto delle proprie figlie.
A uomini che chiedono come violentare le proprie figlie minore senza farle piangere.
Non mi sto inventando nulla e per maggiori dettagli potete andare a leggere l’articolo di Wired al riguardo che trovate qui: https://www.wired.it/internet/web/2020/04/03/revenge-porn-network-telegram/ (occhio, può essere triggering)
Ora.
Siamo tutti d’accordo, spero, che definire merda tutto questo è fare un’offesa alla merda.
E spero che chiunque mi leggerà non sia tra quelli a cui viene da dire “sì, ma”. “Sì, ma se postano foto non si devono lamentare”. “Sì, ma il virtuale è diverso”. “Sì, ma…”.
Nessun “sì, ma” è tollerabile. Nessuno. Non ci sono ma che tengano e se vi viene in mente anche solo mezzo ma siete parte del problema.
SIAMO parte del problema. Perché questa è la verità ed è questo il motivo per cui ho deciso che alla fine fosse giusto scriverlo. Per alzarmi in piedi.
Perché io, in questo caso, sono un privilegiato e chi ha il privilegio deve sfruttarlo.
Io, maschio etero bianco eterosessuale, non sono toccato personalmente. E per questo devo parlare. Per questo devo indicare quanto è sbagliato questo. Per questo devo ricordare che quello che accade non ha nulla a che vedere col sesso. Nulla. È qualcosa di molto diverso. Chi parla meglio di me lo chiama patriarcato e forse è il caso che quella parola compaia anche qui. Si tratta di dominazione. Si tratta di umiliazione. Si tratta di mettere “al loro posto” le donne, tutte le donne, in quanto tali. Di renderle oggetti. Deumanizzarle.
Perché se quando una donna viene tirata dentro in questo schifo e, rintracciata e perseguitata, viene anche licenziata dal proprio datore di lavoro invece di essere difesa, il problema è evidente e non riguarda il sesso.
Non è sesso. Perché se davvero la spinta fosse il sesso non ci sarebbe bisogno di questo. Se c’è una cosa che non ci mancano sono gli stimoli sessuali. Non è sesso, è il sesso usato come mezzo di umiliazione.
Pensateci. Pensate a quante volte vengono usate frasi come “ti darei io una lezione” per dire “ti scoperei”. Pensateci. Pensate a quanto è intrinseca in certe menti. Pensate a quante volte una frase del genere viene detta in contesti amichevoli e ci si ride sopra. Eppure tutto sta lì. Nelle battute tra uomini. Nel non alzarsi in piedi dicendo che è sbagliato. Nel non dire che c’è differenza tra sesso (anche violento) e soprusi e quella differenza sta nel consenso.
Il che ovviamente non implica che chiunque faccia una battuta del genere in automatico diventi come uno di quegli iscritti così come non è che se spargi letame in automatico ci crescono piane sopra. Ma di sicuro aiuta. Di sicuro pone le basi. Di sicuro prepara il terreno e lo mantiene fertile.
Scrivo e mi sento di stare scrivendo banalità immense, ma poi penso a quante volte io stesso in passato non abbia detto “guarda, non è il caso” davanti a certe frasi e mi rendo conto che allora forse tanto banali non sono. O lo sono, ma vanno ribadite.
E le deve ribadire a maggior forza chi non è colpito, ma fa parte della categoria dei perpetuatori: non importa che lui non abbia mai fatto nulla, che non lo farebbe mai, non basta. Non basta più. Se non parli o, peggio, se dici solo “not all men” stai scrollando le spalle dicendo che non è un problema tuo. E se dici che non è un problema tuo allora diventi parte del problema.
Stare zitti, non fare una scelta, è già fare una scelta, parafrasando chi sapeva parlare e scrivere meglio di me.
Ecco, la mia scelta è quella di ribadire che è sbagliato. Quella di ascoltare chi denuncia. Quella di non stare zitti davanti allo schifo. Anche se è difficile. Anche se può rovinare rapporti.
Chiariamo anche una cosa. Telegram è pieno di gruppi più o meno porno. Ed è facile entrarci, anche solo per curiosità. Nessuno condanna il porno (non io di sicuro). Ma quando si vedono certi messaggi. Quando si capiscono certe dinamiche. Quando si leggono di padri che vogliono stuprare le figlie. Ecco, allora a quel punto rimanere è essere complici. Easy like that.
E se ancora avete dubbi andate a seguire e ascoltare le parole di Irene Facheris su Instagram, YouTube o sul suo libro. Non è la sola a parlarne, ma è una delle più brave. E proprio per questo è una di quelle che si è presa più insulti da chi non vuole che le cose cambino.
In piedi.
Forza.