Possiamo salvare il mondo prima di cena (ma non grazie a Safran Foer)

Sono vegetariano da più di sei anni e sicuramente un ulteriore supporto alla mia scelta fu dato dalla lettura di Se niente importa, il libro di Johnathan Safran Foer dedicato al suo percorso verso un’alimentazione più consapevole. Inoltre, Safran Foer è sicuramente un autore che ho amato molto quanto meno nella lettura dei suoi due romanzi più rappresentativi, Ogni cosa è illluminata e Molto forte incredibilmente vicino.

Questa lunga premessa per far capire quanto il nuovo libro fosse per me fonte di estremo interesse sia per l’argomento in entrambi i suoi aspetti (etico e ambientalistico) che per il piacere di riavvicinare l’autore su un tema su cui per me era stato significativo.

Aggiungiamo a questa premessa che io sono convinto che buona parte delle deduzioni che l’autore tra in questo libro siano giuste se non quanto meno sensate.

Il problema è che raramente ho letto un libro che rischia di far così male alla causa che cerca di sostenere.

I problemi sono molteplici, a partire dalla costruzione stesso del testo. Non è divulgativo. Non è un romanzo. Non è neanche un diario. È piuttosto una sequenza di cinque blocchi principali, ognuno fondamentalmente slegato dall’altro, in cui l’autore ripete a oltranza lo stesso, banale, concetto: bisogna mangiare meno carne.

Il che di per sé è corretto ed è incluso nel titolo, ma il testo va poco oltre e riempie 260 pagine di continue ripetizioni dello stesso concetto affiancate a paragoni più o meno azzeccati (e anch’essi ripetuti più di una volta), a una sorta di dialogo interiore estremamente autocompiaciuto e autocompiacente e a una lettera ai figli di nuovo carica di un’autoindulgenza irritante.

Non solo, ciò che colpisce è l’uso che fa Safran Foer di questo testo per mascherare dietro una facciata di autocritica un’ipocrisia irritante e crescente in cui lui, prima persona non in grado di seguire quanto professato, accusa gli altri – tutto il resto della popolazione – di non saperlo fare perché lui non è capace.

Si sofferma più di una volta sulla sua incapacità di rimanere vegetariano dopo aver deciso di esserlo e su un suo bisogno di mangiare carne che – afferma – è innegabile e invincibile. Peccato che, per alleggerirsi l’anima, si scorda di dire che non è così per tutti. Tutt’altro. Partire dall’esperienza personale per fare autocritica è una cosa. Fingere di fare autocritica per autoassolversi pensando che tutto il mondo sia altrettanto debole ben altra.

E il testo è pieno di esempi del genere in cui dietro una facciata di modestia ed espiazione trapela invece il compiacimento perché quanto meno si sta prendendo atto della cosa.

Foer, sembra, ama sentirsi in colpa e crogiolarsi nel pensiero di essere una persona migliore per questo.

Se una cosa del genere in un libro autobiografico avrebbe potuto semplicemente infastidirmi, in questo mi fa infuriare perché finisce per sminuire il messaggio che vorrebbe portare e, soprattutto, per non convincere nessuno.

Perché se qualcuno già non mangia carne (spiacente, John, io non tocca carne dal 2013 e non ho mai sentito il bisogno di cedere) non ha bisogno del suo messaggio, ma chiunque la mangi non lo riceverà in un modo che possa mettere in dubbio il suo stile di vita. Non basta ripetere fino alla nausea la stessa metafora perché questa venga assimilata. Non basta dire “sì, ho sbagliato, ma ora sarò migliore perché mi sento troppo in colpa” per non apparire ipocriti. Non basta elencare a effetto (tramite – letteralmente – punti elenco) una serie di nozioni perché queste finiscano per diventare all’improvviso più appetibili per chi non ha già fatto questa scelta.

Si tratta di un libro fondamentalmente inutile che appaga un’unica, basilare, necessità: appagare l’ego di chi lo ha scritto.

Il che mi spiace molto, perché un messaggio importante in mano a un pessimo messaggero è forse peggio dell’assenza completa di messaggio e questo a dispetto di tutte le pacche sulle spalle che si è dato Safran Foer mentre mangiava un hamburger dicendosi che non avrebbe dovuto farlo e sentendosi migliore per questo.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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