Another Life Season 1: fare tanto e farlo male

Gli ingredienti ci sarebbero stati tutti. Another Life doveva essere la nuova serie Netflix di fantascienza pronta a entrare nel cuore di tutti gli appassionati. Non solo, infatti, la protagonista era Katee Sackhoff, l’indimenticata Starbuck di quel capolavoro che è Battlestar Galactica, ma sembrava anche prendere a piene mani dai classici di fantascienza cinematografici e letterari promettendo di regalare una nuova, appassionante narrazione.

Se vogliamo essere gentili, la promessa è stata mantenuta in parte: la narrazione è stata in effetti nuova, il problema è che la novità sta nel suo essere pessima.

È difficile citare tutti gli aspetti che non funzionano in Another Life perché è oggettivamente complesso trovare quelli che – al contrario – non sono completamente criticabili. Partiamo quindi dando un breve accenno di trama.

In un futuro indefinito, un oggetto non identificato giunge sulla Terra, atterra in un campo e costruisce dal nulla una sorta di enorme monolite. E non fa nulla. Trascorrono mesi in cui nessuno scienziato riesce a capire cosa sia quell’oggetto, cosa voglia e come interagirci e, visto che non ci si riesce, si decide di prendere il toro per le corna: dato che in qualche modo si è riusciti a triangolare un segnale che viaggia tra l’oggetto e lo spazio cosa si fa? Si parte per andare a bussare a casa di chi l’ha inviato e chiedere cosa vuole. Così. Durata del viaggio? Niente di che. Se tutto va bene, sei mesi. Più altri sei per tornare.

Basterebbe questo a far comprendere le logiche assurde alla base della serie. Che senso ha imbarcarsi in una missione di mesi senza sapere nulla di ciò che attenderà all’arrivo solo perché non si è ancora trovata una chiave per l’artefatto? E se in sei mesi quella chiave viene trovata che si fa? Inversione a U?

Ma su questo potremmo anche soprassedere. Ciò che proprio è indigesta è la sequenza di soluzioni insensate, gestione dei personaggi insulsa e pseudoscienza assente che si susseguono per i dieci episodi.

Solo nel primo abbiamo un comandante in seconda che fa partire un’insubordinazione perché ha il suo ego maschile ferito e nessuno mette seriamente in dubbio possa trattarsi di un’idiozia: ovviamente il comportamento causa il peggior danno possibile alla missione e lui finisce per essere ucciso perché incapace di ammettere di essere stato un idiota. Ripetiamolo, stiamo parlando di un comandante in seconda di una missione interstellare che è stato al comando di una nave per oltre un anno. Però si comporta come un bulletto di quint’ordine.

Ma in effetti non c’è nessuno, in questa missione, che agisca come dovrebbe fare un individuo addestrato militarmente allo scopo; in rete qualcuno ha definito la serie “il Grande Fratello nello spazio” e non ci sentiamo di dargli torto.

D’altronde, quando ci troviamo di fronte ad abomini di scrittura che mostrano il personaggio femminile che dà subito di matto per  letteralmente qualunque motivo, oppure un altro personaggio femminile che dovrebbe essere un capo meccanico ma che passa più tempo a decidere quale dei due sottoposti portarsi a letto e, alla fine, opta per entrambi (contemporaneamente), o ancora due personaggi che, su un pianeta alieno, decidono di togliersi i caschi perché cosa vuoi che succeda, non ci si può aspettare molto.

Eppure la serie fa del suo meglio per dimostrare che si può sempre peggiorare, pescando a piene mani da qualunque film e serie usciti e prendendone qualche aspetto riciclandolo malamente.

Pianeti sconosciuti? Ovviamente ci sarà il genio che decide di raccogliere campioni senza remora portandosi qualche bel virus sulla nave.

Intelligenza artificiale? Perfetto, creiamo un ologramma indistinguibile dagli esseri umani che si innamora del capitano e sbrocca quando lei se lo porta a letto (sì, sarebbe un ologramma intangibile, ma ogni tanto ce lo si può dimenticare) e poi lo rifiuta.

Comunicazione con gli alieni? Facciamo una sottotrama in buona parte insulsa ambientata sulla Terra che prima cerca di tirare in ballo i piccioni (sic) e poi passa ai riflettori. Con buona pace di Incontri ravvicinati del terzo tipo Arrival. 

E non stiamo neanche a menzionare idiozie come una nave che si avvicina a una stella e a un buco nero senza sostanzialmente subirne effetti, comunicazioni immediate a distanza di anni luce o raggi gamma che avrebbero dovuto rendere infertile l’equipaggio, ma stranamente nel rapporto a tre succitato la donna rimane incinta.

E anche sulla Terra non ci si fa mancare nulla, dal Segretario di Stato che decide di imbracciare un fucile, prendere tre/quattro soldati, assaltare l’artefatto e ovviamente venire ucciso, allo scienziato (guarda caso marito della protagonista) che riesce ad avere colpi di genio solo quando qualcuno pronuncia una frase qualunque che gli fa venire l’illuminazione. Che, sia chiaro, è un cliché classico e anche divertente. Ma non se lo usi tre volte in tre episodi.

Potremmo andare avanti a lungo, ma speriamo di aver già fatto capire la nostra pacata opinione.

Non si salva nulla, quindi? Quasi. Katee Sackhoff si impegna e, nonostante tutto, è un piacere tornare a vederla nello spazio. Certo, avessimo ricordato che accettò il ruolo di Amunet in Flash forse ci sarebbe venuto il dubbio che la sua capacità di scegliere in cosa recitare non è sempre eccelsa. Anche gli spunti ci sono, questo sì: le idee, se messe in mano a qualcuno che sa scrivere, avrebbero potuto regalare una bella serie. E, ma qui subentra il gusto dell’orrido, a volte la curiosità di vedere che altra idiozia si inventeranno fa guardare più episodi di quanto sia salutare.

Ciò che irrita più di ogni cosa è che gli autori abbiamo dimostrato di non aver capito né saputo gestire il delicato equilibrio alla base di una storia di fantascienza. Sebbene necessariamente si debba mettere in atto la sospensione dell’incredulità, ciò non significa che qualunque cosa sia concessa, soprattutto se si decide di sfruttare un’ambientazione futuristica ma pseudorealistica.

Un equipaggio come quello mostrato non ha senso. Si tratta per lo più di post-adolescenti in tempesta ormonale senza alcun senso del dovere, della responsabilità e dell’opportunità. Non comprendere che tale scelta sia insensata significa insultare l’intelligenza dello spettatore, che viene definitivamente schiaffeggiata quando si mettono in scena ben due situazioni in cui i personaggi sono letteralmente fatti. E in un caso ballano in una discoteca virtuale. Ologramma incluso.

Ovviamente la stagione si chiude con un finale apertissimo, ma per una volta non ci strapperemo i capelli se la storia rimarrà appesa vita natural durante.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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