The Handmaid’s Tale: 2×11 Holly

Dopo un episodio come The Last CeremonyThe Handmaid’s Tale si trovava davanti a un bivio: da un lato la possibilità di continuare ad alzare l’asticella dell’orrore e delle emozioni violente, dall’altra prendersi una pausa e trovare il coraggio di fare qualcosa di diverso e complementare. La scelta degli sceneggiatori, che hanno più volte dimostrato di non accontentarsi del percorso prevedibile e più facile, è stata la seconda: il risultato è un episodio agli antipodi per costrione, svolgimento e basi emotive che, però, riesce ancora a dimostrare – se mai ce ne fosse bisogno – l’elevata uzqualità di tutti gli aspetti creativi della serie.

[pullquote]Un’ambientazione da film horror che mantiene la sensazione di inquietudine e impellenza per l’intero episodio[/pullquote]

Una donna, incinta e a rischio travaglio, una casa deserta in mezzo al nulla, neve e un lupo che girovaga. Sembra l’ambientazione di un thriller, se non addirittura di un horror, e la regia fa di tutto per mantenere la sensazione per buona parte dell’episodio, che vive quasi esclusivamente sulla recitazione di una – come al solito – incredibile Elisabeth Moss. L’impellenza della situazione e l’ansia conseguente sono il leit motiv di quarantacinque minuti in cui lo spettatore si chiede se e come la protagonista riuscirà a cavarsela ma, soprattutto e perché ormai siamo stati abituati così, cosa di brutto potrà capitarle.

Non mancano i momenti di disperazione, quelli di sfortuna, quelli di rassegnazione, rabbia ma anche speranza, grazie a un meraviglioso cameo di Oprah che ricorda a noi ma soprattutto a Offred che da qualche parte esistono ancora la resistenza e l’America.

L’unico momento in cui abbiamo visione, nel presente, di qualcuno di diverso da June è quando irrompono Fred Serena, in quello che è probabilmente l’apice della caduta delle maschere che più volte abbiamo citato: furenti, disperati, lontani dagli occhi di Gilead, le vere identità tornano a galla, il veleno scorre a litri e la violenza verbale e fisica esplode, sottolineando forze, debolezze e meschinità. Fred si dimostra ancora una volta il vile incapace di rendersi conto della realtà, al punto da essersi autoconvinto della lealtà di Nick e della dovuta gratitudine di Offred. Serena, dal suo canto, gli rinfaccia non solo lo stupro – finalmente definito come tale – dell’ancella ma soprattutto l’aver rinunciato a tutto per lui. Di nuovo rischiamo di empatizzare almeno parzialmente con la donna, finché non ci ricordiamo le sue stesse atrocità.

– Grata? L’hai stuprata!
– È stata una tua idea!

Ma oltre al guilty pleasure di vedere i due individui scontrarsi e azzannarsi alla gola, la loro apparizione funge da cartina tornasole morale nei confronti di June. La donna ha la possibilità di uccidere i suoi aguzzini e di fuggire, travaglio permettendo, ma pur tentata e sul punto di schiacciare il grilletto finisce per frenarsi, scolpendo così la differenza morale tra lei e i tanti colpevoli di Gilead, ma anche quella stessa resistenza a cui invece guarda con favore Emily: uccidere, far del male, stuprare, torturare sono azioni da cui non si torna indietro e, pur in tutta la sua sofferenza e rabbia, June ne è consapevole e non riesce a costringersi a fare quel passo in più.

I flashback dell’episodio sono pochi e apparentemente non molto incisivi, volti soprattutto a mostrare il contrasto tra i momenti della vita passata legati ad Hanna e quelli odierni con la nascita della bambina concepita con Nick, eppure il messaggio è forte: per quanto June avesse potuto sentirsi soffocata da dolore e responsabilità alla nascita della prima figlia e nei momenti di separazione da lei, non aveva neanche cominciato a intaccare la forza a sua disposizione e di cui non era consapevole; quella forza che nello scorso episodio le aveva permesso di salutare sua figlia e chiederle di vivere una buona vita e che, in questo, le permette di partorire da sola davanti al fuoco di un camino in una delle scene più forti, vive e realistiche viste in una serie tv.
E, ancora, quella forza che, pur di salvare la vita a sua figlia, le fa decidere di accettare la mancata fuga, non passivamente ma volontariamente.

Una forza che, a posteriori, ha un nome: quello di Holly, la madre rivalutata troppo tardi e il cui ricordo accompagna June in buona parte dei flashback fino alla conclusione naturale e all’assegnazione dello stesso nome alla neonata stretta tra le sue braccia, in segno di memoria, rispetto e augurio di poter essere altrettanto forte e libera quanto la nonna che mai potrà conoscere.

La voce narrante di June, che accompagna lo spettatore a inizio e fine episodio, per la prima volta si rivolge direttamente a chi è in ascolto, in una sorta di potenziale richiamo al finale del romanzo originale, ma anche come messaggio non troppo implicito agli spettatori.

Mi spiace che ci sia così tanto dolore in questa storia, ma non posso fare nulla per cambiarla.

“Sì, lo sappiamo che vi stiamo mostrando orrori, ma dovete capire che questi orrori esistono ed essere pronti ad affrontarli o scongiurarli”, sembrano dirci gli autori.

Quello a cui, ora, non siamo ancora pronti sono gli ultimi due episodi, con le tante incognite ancora davanti a noi. Di chi è la macchina che sentiamo arrivare negli ultimi minuti? Che fine faranno Nick, Serena, Fred e, ovviamente, June e la bambina? Quale sarà – perché sappiamo che ci sarà – il cliffhanger che ci lascerà appesi fino alla terza stagione?
Attendiamo curiosi, con in sottofondo Hungry Heart, la voce di Oprah che ci ricorda che stelle e strisce esistono ancora e una nuova bambina da proteggere dai mali di Gilead.

Un’ultima menzione va alla regia, che in questo episodio segue June spesso a distanza, con riprese dall’alto e campi lunghi quando si trova all’aperto e inquadrature distanti – a volte da una stanza all’altra – nelle scene al chiuso: l’effetto è quello di accentuare il senso di solitudine della donna, che viene trasmesso in modo vivo e inquietante allo spettatore.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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