American Gods: 2×03 Muninn

Sarebbe bello poter affermare che dopo le perplessità legate al primo episodio e qualche lieve miglioramento nel secondo, la piega di questa stagione di American Gods rispecchi una crescita qualitativa costante anche se lenta. Purtroppo speranze e realtà spesso non coincidono e se c’è una conferma che arriva da Muninn è che questa stagione sembra avere sempre meno ragione d’esistere.

Con un minimo salto temporale rispetto alla scena finale dell’episodio precedente, la puntata parte con una serie di caotici flash visivi e sonori per poi riportare sulla scena dell’incidente causato da Wednesday, con pezzi di treno e di Laura sparsi in giro per la campagna. L’episodio, a questo punto, si imbarca su percorsi già visti, con Shadow costretto a una sorta di cammino di penitenza e scoperta, Laura manipolata da Wotan, il JinnSalim in missione per conto di quest’ultimo e Mad Sweeney in un accidentato viaggio verso New Orleans.

Quattro linee narrative, tutte on the road, tutte ancora estremamente lontane da una qualunque azione che non sia vagamente preparatoria.

Ed è qui uno dei grossi limiti di questa stagione: quando si decide che il percorso è più importante della destinazione, bisogna far sì che lo spettatore sia legato con passione allo svolgimento del viaggio, che sia curioso di sapere cosa davvero porterà, che gli eventi vissuti dai protagonisti – siano essi materiali o emotivi – valgano il tempo speso ad assistervi. Qui, tristemente, non avviene se non quando, per merito degli attori che – ricordiamolo –  hanno spesso improvvisato, il ritmo dei dialoghi riesce a superare una scrittura che spesso e volentieri sembra non sapere dove vuole arrivare, come arrivarci e perché.

Se le interazioni tra McShane Browning funzionano bene quanto quelle tra quest’ultima e Schreiber (il che, per deduzione, porta a sottolineare la bravura dell’attrice), la trama che li vede coinvolti è avvolta su se stessa, si muove poco, è l’ennesimo passo di preparazione verso una guerra che ancora non si sa se e quando vedremo. Specularmente, le dinamiche tra Whittle e la nuova arrivata Devery Jacobs regalano una piacevole pausa nella noia generale, ma non riescono a vincere la curiosità dello spettatore, complice anche il fatto che il personaggio di Shadow non sta riuscendo a ritagliarsi l’importanza narrativa ed emotiva che ha nel romanzo e che dovrebbe avere di diritto nella storia. Whittle qui riesce quanto meno a fornire qualche sfumatura interpretativa in più, sicuramente gradita, ma Shadow in questa stagione non c’è, non ancora quanto meno.

Il minutaggio dedicato al Jinn e a Salim è minimo e se fosse stato tagliato dall’episodio non si sarebbe sentita alcuna differenza. Per quanto piacevole possa essere l’interpretazione di Abthai, poco viene lasciato d’altro allo spettatore. Sì, è stata recuperata l’arma di Odino. Buon per lui, ci viene da dire.

La situazione di Mad Sweeney ci lascia poi un po’ perplessi. Da quando il Leprecauno ha perso la sua moneta, che ancora sostiene il corpo della defunta signora Moon, è sempre stato soggetto a una buona dose di sfortune degne del più classico Fantozzi, ma la sua gestione nell’episodio sfiora il macchiettismo in una fase narrativa in cui questo tipo di ironia sembra appiccicata senza un chiaro scopo.

Ma il grosso elefante nella stanza sono l’introduzione e l’uso di New Media. L’abbandono di Gillian Anderson è stato innegabilmente un colpo grosso al cast e alla produzione, considerando non solo il talento dell’attrice ma anche l’impatto visivo e non del suo personaggio: chiunque fosse giunta a sostituirla sarebbe stata penalizzata a prescindere, ce ne rendiamo conto, ma proprio per questo la nuova incarnazione del personaggio doveva essere introdotta con un’adeguata dose di pathos e portare con sé una rilettura in grado di suscitare un nuovo interesse. La comparsa del personaggio, che ora ha il volto Kahyun Kim, è invece un vero e proprio anticlimax che non solo non fa quanto sopra, ma sembra costruito in economia con effetti ottici confusi e poco efficaci. Estremamente azzardata e perdente, poi, la scelta di scimmiottare la versione Marylin di Media comparsa nella prima stagione, con l’unico effetto di far rimpiangere ciò che si è perso.

Non paghi di ciò, New Media viene messa prima a confronto con Technical Boy dando voce a una domanda che diventa quasi metanarrativa: che senso ha che esistano entrambi? Se lo chiede anche lo spettatore, che finisce poi per incrementare il numero di interrogativi quando si trova davanti la scena del pseudo rapporto sessuale tra Argus e New Media per mezzo di cavi ottici adeguatamente modificati allo scopo. Se la simbologia della scena è negli intenti e nella base molto interessante (l’idea che un qualunque social possa guardarti mentre lo usi, detta in termini poveri), la resa lascia a dir poco a desiderare.

La poca incisività di New Media è evidente anche soffermandosi su un particolare non da poco. Questo episodio doveva rappresentare il suo ritorno trionfale dopo la quest di Technical Boy dei precedenti, eppure viene completamente eclissata dall’introduzione di Sam Blackcrow e dalla già citata buona chimica tra lei e Shadow. Il fatto che Sam fosse un personaggio atteso dai personaggi del libro conta poco: quando un character secondario ruba la scena a quello attorno cui dovrebbe ruotare l’episodio c’è da farsi qualche seria domanda.

In che modo questo sarebbe un miglioramento?

Se lo chiede Technical Boy e ce lo chiediamo anche noi.

Il prossimo episodio segnerà la prima metà di questa stagione. Ancora nulla, dopo la strage di dei della première, è davvero accaduto e, come abbiamo più volte ripetuto, vuote scelte di fotografia o tentativi di originalità non riescono a salvare episodi che stanno ancora in piedi solo grazie alle capacità interpretative di parte del cast.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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