Victoria: Season 3 – un nuovo equilibrio
Una delle innegabili qualità della produzione audiovisiva britannica è la capacità di far fruttare il proprio patrimonio culturale, creando prodotti cinematografici e seriali ben poggiati sul proprio background letterario, teatrale e storico. Essendo anche la più famosa e visibile monarchia occidentale ancora esistente, lo status quo del Regno Unito gli permette di sfruttare l’immaginario legato a vicende reali poggiandolo su fatti storici e verificabili, generando così prodotti in grado – quanto meno – di stimolare la curiosità dello spettatore, senza contare la loro oggettiva e frequente qualità.
Non è un caso se a cavallo tra il 2018 e il 2019 due dei film britannici più attesi, Mary Queen of Scots e il vincitore dell’oscar The Favourite, fossero incentrati su figure monarchiche e, ovviamente, se The Crown risulta essere uno dei prodotti più interessanti, ambiziosi e di qualità prodotti da Netflix.
Victoria, prodotta da ITV e in onda la prima volta ad agosto 2016, rientra a pieno diritto tra queste produzioni di buon livello, permettendo un excursus sulla vita della regina più famosa della storia inglese, il cui lungo regno ha definitivamente cambiato il volto della monarchia britannica e dell’intera Europa.
Il paragone con The Crown, fatte le tante e dovute distinzioni, è praticamente obbligato: non solo le due serie sono uscite in periodi molto simili (meno di tre mesi di scarto tra la serie con protagonista Jenna Coleman e quella dedicata alla regina Elisabetta), ma seguono per molti versi percorsi paralleli nella loro diversità, con una prima stagione focalizzata sull’ascesa al trono e le relative difficoltà e quelle successive a seguire il percorso di due personaggi tanto distanti quanto assimilabili.
Come si diceva, il volto di Victoria è quello di Jenna Coleman, mai troppo elogiata companion del Dottore, le cui qualità attoriali le hanno permesso la conquista di un ruolo tanto iconico, estremamente difficile da far proprio. L’immagine della regina Victoria è infatti ben conosciuta ed è entrata in un immaginario collettivo non facile da sradicare, soprattutto perché cristallizzato sulla fase avanzata della sua vita: la somiglianza fisica tra l’attrice e l’originale non è tale da rendere immediata l’immedesimazione, nonostante trucco e costumi (e un paio di lenti a contatto blu) aiutino molto.
Ciò che funziona è proprio l’interpretazione di Coleman, in grado di infondere nel suo personaggio le caratteristiche dell’originale, per quanto sia possibile ricostruirle. In una recente intervista, la protagonista ha raccontato di aver studiato molto non solo le documentazioni storiche ufficiali dell’epoca, ma anche e soprattutto le lettere e i diari della regina stessa, cercando di entrare nella sua mente e di vedere il mondo coi suoi occhi, al punto da essere sicura che se Victoria stessa avesse visto la sua interpretazione avrebbe detto che è sbagliata sotto un’enormità di punti di vista e avrebbe scritto pagine e pagina di note.
Talento, attenzione e modestia hanno pertanto permesso alla protagonista di immedesimarsi adeguatamente nel ruolo di una giovane donna salita su un trono e ritenuta inizialmente inadeguata al suo ruolo per il semplice fatto di essere del sesso sbagliato. La prima stagione racconta questo percorso di affermazione, tra infatuazioni per un primo ministro dal volto del bravissimo Rufus Sewell, difficoltà nella gestione di parenti più simili ad avvoltoi e innamoramento e conseguente matrimonio con chi sarà il vero centro della sua vita, il Principe Albert.
Pur ben radicata nelle vicende storiche e con un continuo rimando ad esse – fatti salvi i necessari cambiamenti per scopi narrativi – è innegabile che la natura della serie sia divisa tra queste e gli aspetti meramente familiari dei personaggi, quelli che permettono allo spettatore di legarsi empaticamente ai protagonisti e di sentirli vicini. Il lavoro della creatrice Daisy Goodwin è ben equilibrato e si appoggia su eventi e documenti storici – come i già citati diari e gli scambi epistolari – per costruire qualcosa di organico dov’è necessario intervenire riempiendo i vuoti.
Come in tutte le serie storiche, siano esse vicine come The Crown o più distanti come Victoria, il problema maggiore è rappresentato proprio da quei vuoti, in cui dialoghi e interazioni necessariamente inventati devono rimanere rispettosi di personaggi esistiti o esistenti: quanto, nel risultato finale, ci sia di fedele all’originale è purtroppo impossibile definirlo, quanto meno in Victoria, ed è sicuramente figlio del taglio deciso dalla creatrice e dagli autori. Da spettatori – e non esperti del periodo storico – possiamo dire che il risultato finale è appassionante, avvincente e riesce a infondere la curiosità di scoprire di più di un’epoca non così lontana e al contempo tanto importante.
Altra scelta rivelatasi vincente è quella, in tutte le stagioni, di focalizzarsi su personaggi secondari realmente esistiti (o quanto meno ad essi ispirati) più slegati dagli eventi storici e pertanto maggiormente malleabili e utilizzabili in narrazioni più intimiste. È il caso del personale di corte e di membri di vari ceti – popolari o nobili – che in apparizioni singole o ricorrenti aggiungono con le proprie vicende tridimensionalità a una storia che rischierebbe altrimenti di risultare monocolore.
In quest’ottica, ogni stagione concentra gli otto episodi che la compongono non solo su un arco temporale abbastanza esteso, ma anche su un filo conduttore che accompagni le vicende storiche e quelle personali, siano esse dei protagonisti o dei personaggi di contorno.
La prima, si diceva, è incentrata sui passi iniziali, nel significato più ampio del concetto: i primi passi di una giovane donna insignita di un potere enorme, i primi passi di consapevolezza, i primi passi nella scoperta della varie facce delle persone, nella politica, nelle interazioni sociali, nell’amore. Parallelamente abbiamo la scoperta della nuova regina da parte di chi gravita intorno al palazzo, la presa di coscienza di un cambiamento percepito solo dopo che è iniziato. Si tratta della stagione in cui i potenziali sono presenti ma ancora non esplosi, con una regina che dovrà lottare coi denti per essere trattata come tale e un principe che mostrerà da subito quei tratti caratteriali e morali che ne faranno un costante elemento di coscienza ma anche di contrasto per la protagonista.
La seconda stagione è più di transizione, quella dei tanti parti della regina, della sua lotta per mostrarsi all’altezza (col peso aggiuntivo di una depressione post-partum e dello spettro della follia del padre), dell’accettazione del passato suo e di Albert e dell’abbandono di quegli angoli di sicurezza che avevano rappresentato un rifugio nella precedente, a partire dalla scomparsa di Lord Melbourne. Victoria abbandona gradualmente le proprie reti di protezione abbracciando il suo ruolo e accettando che questo comporti l’interazione con persone ben lontane dal suo gradimento e dalla sua cerchia.
La terza stagione, appena terminata, è per molti versi quella del cambiamento più netto e della crescita maggiore dei personaggi. Spariti diversi volti familiari in parlamento, sostituiti da figure grigie come il Primo Ministro Robert Peele o fortemente accentratrici come Lord Palmerston, ministro degli Affari Esteri e uno dei principali coprotagonisti/antagonisti della stagione. La figura di Palmerston è una novità non solo dal punto di vista storico, ma anche nella narrazione della serie, e introduce un individuo che si muove in un’area grigia in cui il suo ruolo può fungere tante volte da alleato quante da avversario. I suoi contrasti con la regina si tramutano, nel corso degli episodi, in rapporti con dinamiche più equilibrate di scambio di opinioni e rispetto, mentre andrà crescendo l’antagonismo caratteriale tra lui e il Principe. La presenza di Palmerston riesce così a fornire stimoli e punti di vista diversi e a mostrare come spesso la ragione possa anche essere di qualcuno che non sempre stimiamo.
Il concetto di cambiamento ed evoluzione attraversa l’intera stagione, a partire dal rapporto tra regina e consorte. Dopo tanti figli, dopo anni di amore giovanile e passione, i due si trovano sempre più in contrasto e distanti, al punto da domandarsi se l’amore sia ancora presente. In momenti come questi è facile radicarsi nelle proprie posizioni e quelle differenze che in precedenza rappresentavano il punto di forza di un sentimento rischiano di diventare gli anelli deboli di un legame; il percorso di Victoria e Albert sfiora pericolosamente questo rischio, complici anche influenze esterne fin troppo irritanti e invadenti: da una parte Albert, sognatore, innovatore e razionalista, dall’altra Victoria, di carattere acceso, legata al proprio ruolo e all’amore del proprio popolo; apparentemente sempre più distanti, al punto dal rischiare conseguenze anche sui figli, sarà comunque il loro sentimento a permettere loro di riscoprirsi e reinventarsi.
– Non ce l’avrei mai fatta senza il tuo supporto
– Ma io non ti ho sempre supportato
– L’hai fatto quando serviva
Simbolico e fondamentale è il subplot legato alla Grande Esposizione Universale del 1851, fortemente desiderata e progettata da Albert contro ogni suggerimento e parere e, da potenziale disastro, trasformatasi in quel meritato successo necessario a conquistargli la stima di un popolo che mai lo aveva davvero rispettato a causa delle sue origini germaniche; è questo progetto a permettere, alla fine, il vero ricongiungimento dei due: nel momento in cui Victoria decide di donare il proprio appoggio ad Albert fidandosi di lui anche quando la sua stessa fiducia in sé vacilla. Il supporto completo, la fiducia, la stima diventano le chiavi del successo di entrambi, tra di loro e nei confronti del mondo, con una conseguente sconfitta morale non solo di Palmerston, ma anche di Feodora, la sorella opportunista della regina, il personaggio forse meno fedele alla realtà storica, ma utilizzato – a volte in modo fin troppo prevedibile – per fornire un nuovo elemento di contrasto interno una volta persi i parenti serpenti e i nemici delle stagioni precedenti.
Gli otto episodi della stagione, però, percorrono diversi anni e se la Grande Esposizione rappresenta la degna conclusione, non sono meno importanti i momenti legati al Cartismo – dove ben si evidenzia il dualismo di Palmerston – e, a seguire, quelli incentrati sulle tensioni tra la Corona e l’Irlanda. Non manca il focus sull’epidemia di colera a Broad Street del 1854, anticipata di diversi anni nella narrazione della serie per permetterne l’uso come strumento di approfondimento dei protagonisti e come espediente narrativo ed emotivo per l’eliminazione di personaggi che, ormai, non avevano più molto da dare alla serie. Da notare in questo caso la necessaria e fuggevole apparizione di personaggi come Florence Nightingale e John Snow.
La scelta di spalmare le stagioni su più anni, per quanto possa certe volte rendere difficile accorgersi dell’effettivo trascorrere del tempo nella finzione, permette uno sguardo ampio su vicende che, per natura, avrebbero invece evoluzioni lunghe e potenzialmente poco avvincenti. La riorganizzazione di certi eventi e la ridistribuzione di alcuni personaggi, per quanto possano legittimamente far storcere il naso a qualunque purista, sono classiche dramatizations, ovvero modifiche più o meno necessarie per rendere la narrazione fluida, appassionante e compatta. L’equilibrio tra fedeltà storica e ritmo del racconto è delicato in qualunque adattamento e Victoria da un lato presta maggiormente il fianco a qualunque critica al riguardo data la verificabilità dei fatti, dall’altro permette la creazione di una storia verosimile dove non reale, che non mente ma semplicemente adatta, ispirando magari il pubblico ad approfondire certi eventi e argomenti.
Victoria è, nel complesso, una serie che, forte anche del ridotto numero di episodi, si riesce a guardare velocemente e con piacere; la terza stagione, pur con l’ombra del rischio di perdere in freschezza e in riconoscibilità con l’abbandono di alcuni personaggi, riesce in realtà a rinnovarsi e a trovare una nuova chiave di racconto, più equilibrata e interessante: quando una storia conosciuta riesce comunque a tenere viva l’attenzione dello spettatore per oltre 24 ore totali, allora non c’è dubbio che stia venendo raccontata nel modo giusto.
Sebbene il concetto di finale aperto sia difficilmente applicabile a una serie basata su fatti storici, la conclusione della terza stagione non si sforza neanche di porre un punto fermo alle vicende narrate e lascia la porta aperta per una quarta non ancora annunciata, ma che riteniamo necessaria e, speriamo, probabile.