Luther Season 5: la fine?

Luther è una serie particolare anche per gli standard di BBC. Nata nell’ormai lontano 2010, con protagonista un allora non così conosciuto Idris Elba, la serie raggiunse velocemente un successo enorme grazie all’elevata qualità in praticamente ogni comparto tecnico, dalla scrittura alla regia, passando innegabilmente per l’ottimo cast in cui già nella prima stagione, oltre al protagonista, svettavano un’incredibile Ruth Wilson, ma anche Dermot Crowley e il Paul McGann che troppi conosceranno esclusivamente come Ottavo Dottore in Doctor Who.

Dato, quindi, il riscontro di pubblico, la prima stagione è stata seguita da una seconda e una terza, entrambe più brevi (quattro episodi contro i sei dell’originale) e una sorta di omaggio speciale a distanza di cinque anni dalla prima produzione: una quarta serie composta da solo due episodi. Tutte indiscutibilmente di qualità più che discreta se non buona, ma nessuna delle quali ha mai eguagliato l’impatto e i risultati della prima.

La quarta stagione, in particolare, sembrava aver messo una sorta di punto finale alle vicende del DCI Luther, con poche speranze per un seguito che, invece, fu annunciato a sorpresa nel giugno 2017 e, composto da altri quattro episodi, è andato in onda in altrettanti giorni consecutivi durante la prima settimana del 2019, replicando una messa in onda atipica che si era già vista anni fa per il meraviglioso speciale Children of Earth della mai troppo compianta Torchwood.

Ma prima di entrare nel dettaglio di quest’ultima quinta stagione, forniamo un breve background per la serie nel suo complesso.

Luther, il protagonista, è un detective nella Londra odierna. Un uomo di notevole intelligenza ma, al contempo, maledetto da un carattere quanto meno difficile e da un’oscurità interiore che si manifesta in un’incapacità crescente nel mantenere rapporti interpersonali sani o che sembrino tali. La sua abilità nel risolvere crimini e immedesimarsi nei pensieri dei suoi antagonisti lo rendono una spugna che, col tempo, assorbe il brutto del mondo circostante e si accumula nel suo animo, trascinandolo verso un fondo emotivo e, per certi versi, materiale da cui chiunque farebbe fatica a sollevarsi.

La Londra di Luther è specchio di questa oscurità. Se in altre produzioni BBC ambientate nella capitale del Regno Unito siamo abituati a una città patinata anche quando è scenario di crimini (si pensi a Sherlock in primis), quella di Luther è buia, ostile, spaventosa, capace di nascondere mostri dietro l’angolo e proteggerli quando vogliono sparire. E come la città, anche ciò che avviene al suo interno è specchio di quanto di peggio può essere nell’animo umano. Stupri, omicidi seriali, criminalità organizzata, anche cannibalismo sono solo alcune delle aberrazioni con cui il protagonista è costretto a confrontarsi, cercando al contempo di sopravvivere alla sua incapacità di tenersi distaccato.

Pur non essendo mai messa in discussione la buona volontà del personaggio, infatti, la sua abilità nel non sporcarsi col male che incontra è pressoché nulla, rassegnato com’è al fatto che pur di sconfiggere qualcosa di terribile sia accettabile abbassarsi quasi allo stesso livello. Che per pulire sia necessario insozzarsi. E Luther si sporca molto, si incastra in meccaniche che danneggiano lui e, ancora più frequentemente, chi lo circonda, rendendolo sostanzialmente un pericolo per chiunque graviti intorno a lui, nonostante – ripetiamolo – le ottime intenzioni.

Un personaggio del genere ha bisogno di un antagonista adeguato e la prima stagione lo fornì con Alice Morgan, cui la citata Ruth Wilson diede vita creando un personaggio la cui amoralità e sociopatia erano pari soltanto alla sua sagacia e intelligenza. Non c’è da stupirsi se l’alchimia tra i due personaggi, nel corso delle varie apparizioni di Alice, abbia dato luogo non solo ad alcuni dei migliori episodi della serie, ma anche a un legame malato in cui il ribrezzo per le azioni della donna finisce per essere sostituito dall’attrazione istintiva tra le due ostilità, in un rapporto di odio/amore/odio che supera e deforma quello del citato Sherlock con Irene Adler: se nella serie con Cumberbatch, infatti, la Adler finiva per rendere il protagonista in qualche modo più umano, capace di provare passione se non amore, l’influenza di Alice non può essere che di pura distruzione, paradossalmente tenuta a bada solo da quel poco di luce che ancora è presente in Luther.

Nulla da stupirsi, quindi, se le stagioni in cui Alice non compare sono quelle più deboli, in cui sembra che manchi una vera controparte al personaggio: non importa quanto la trama possa essere interessante e spaventosa o quali tragedie si compiano; Luther ha bisogno di uno specchio deformante per sembrare almeno un po’ meno oscuro, anche se questo significa sprofondarlo ulteriormente nel fango.

Se le considerazioni fatte finora valgono per l’intera serie, ci focalizzeremo ora sulla quinta e (forse) ultima stagione, della quale da questo punto in poi si troveranno spoiler.

La quinta stagione riprende le vicende del detective in un punto imprecisato successivo al finale della precedente. Non ci è dato sapere che fine abbiano fatto alcuni dei comprimari, il che può essere irritante per chi – come chi scrive – ama avere una continuità definita nelle serie che segue. Considerando, però, la distanza tra una stagione e l’altra e le strutture tendenzialmente a blocchi di due episodi alla volta, la scelta di non approfondire strascichi del passato può essere vista come funzionale e, soprattutto, giustificata dal semplice tempo che passa.

Ciò nonostante, questi ultimi quattro episodi nascono con l’evidente desiderio di chiudere un cerchio e tirare le fila di una vicenda ben precisa che si dipana dalla prima stagione: la stessa vita del DCI Luther. Se, infatti, per quattro stagioni ci siamo soffermati costantemente su crimini sempre più efferati, è indubbio che un punto è rimasto costantemente aperto: possibile che non ci siano ripercussioni definitive sul protagonista nonostante le sue azioni, le alleanze più o  meno temporanee e le tante, troppe morti in qualche modo legate a lui?

Possibile che, in tanto sporco, lui riesca in qualche modo a uscirne ancora pulito?

L’elefante nella stanza è rappresentato, per forza di cose, dal rapporto con Alice: un elemento così importante da giustificare il ritorno del personaggio dal regno dei defunti. Anche in questo caso, la spiegazione della mancata morte è fornita piuttosto velocemente, senza eccessivo approfondimento e, nonostante questo, funziona e ha senso. Così come ha senso che il suo ritorno coincida col crollo di tutte le fragili fondamenta su cui Luther ha cercato di ricostruirsi ogni volta che è crollato.

Se, infatti, è vero che è Alice a travolgerlo come uno tsunami, è altrettanto vero che è la stessa incapacità del DCI di prendere qualunque tipo di posizione a condannarlo definitivamente. È Luther, non Alice, a mentire al suo capo, ai suoi collaboratori, a cercare di trovare un modo per non dover ammettere con nessuno quanto in fondo è cascato, così come è sua la continua convinzione – e ripetizione a mo’ di mantra – che riuscirà a risolvere tutto, a riportare tutto a posto. Non ci riuscirà, non stavolta, e a pagarne le conseguenze saranno innocenti e persone che si sono fidate di lui. Inclusa la stessa Alice, impazzita per essere stata abbandonata una volta e aver ricevuto menzogne una seconda, ma anche amici di lunga data o la giovane Sergente Halliday, uno dei pochi personaggi realmente positivi della serie (interpretata da un’ottima Wunmi Mosaku) e, proprio per questo, sostanzialmente condannata dalla sua prima comparsa in scena, ma la cui morte è uno dei momenti più dolorosi e gratuiti dell’intera stagione.

L’unico modo vero per chiudere il cerchio, dopo una tale discesa, è che chi ne è sempre uscito pulito, chi ha sempre negato – forse anche con se stesso – di essere stato trascinato a fondo, chi ha sempre ritenuto che il fine giustificasse i mezzi si trovi a pagare ciò che troppo a lungo non ha scontato.

L’alchimia tra Alice e Luther, tra Elba e Wilson è tale da mettere in secondo piano ogni altro aspetto: è un guilty pleasure trovarsi a fare il tifo per questa improbabile coppia/alleanza ed è quasi impossibile non trascorrere buona parte del tempo ad amare Alice molto più del protagonista e degli altri comprimari. Alice è, in tutto e per tutto, un mix di Moriarty e Irene Adler inserita in un realismo che, per forza di cose, è pesantemente più marcato in Luther che in Sherlock.

In tutto questo, i quattro episodi imbastiscono anche una trama prettamente investigativa in cui un nuovo serial killer terrorizza la città, ma questa linea narrativa finisce – più che in ogni altra stagione della serie – per fungere da elemento di riempimento, di sfondo e, in qualche modo, di ostacolo per quanto appena analizzato, tanto che buona parte dell’attività investigativa verrà svolta non da Luther, ma dalla stessa Halliday e dal capo di entrambi Schenk, l’unico che – pur a conoscenza della profondità dell’oscurità del mondo in cui si muovono lui e Luther – riuscirà fino all’ultimo a mantenere un dilaniante equilibrio, uscendo come uno dei migliori personaggi della stagione e della serie.

La stagione, quindi, inizia promettendo molto bene e compie adeguatamente il suo lavoro di chiusura dei punti aperti, soprattutto nella destrutturazione del personaggio principale, e gli aspetti tecnici mantengono una qualità eccelsa, con scene di tensione crescente calibrate al secondo, ma qualcosa manca dal punto di vista strettamente narrativo: la costruzione a quattro episodi, pur permettendo di concentrare adeguatamente la vicenda, non viene gestita in modo ottimale e l’ultima puntata finisce per pagarne lo scotto, risultando in qualche modo troppo veloce e apparentemente tirata via. Un po’ come se lo sceneggiatore si fosse detto “accidenti, è l’ultimo episodio, devo chiudere tutto”. Una miglior distribuzione dei tempi o, meglio, uno o due episodi in più avrebbero giovato narrativamente e avrebbero reso molto più equilibrati tutti gli sviluppi, non lasciando la sensazione di forzatura che alcuni passaggi finiscono per avere.

Il finale, poi, è di certo controverso: se, infatti, è coraggiosa la scelta di portare il personaggio principale alle conseguenze naturali delle proprie scelte, è indubbio che vederlo nel fango senza possibilità di reale redenzione lascia non poco l’amaro in bocca.

Al momento BBC non ha annunciato un seguito, ma è anche vero che giusto nei giorni passati il questionario che la rete invia ai propri spettatori includeva una domanda relativa a quanto questi fossero disposti e interessati ad assistere a una sesta stagione: non sarebbe la prima volta che BBC ascolta il pubblico, per cui potrebbe non essere detta davvero l’ultima parola per il DCI interpretato da Idris Elba, anche se ci auguriamo, nel caso di un ritorno, che la struttura narrativa venga studiata adeguatamente per evitare i difetti di quest’ultima stagione.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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