Doctor Who: 11×09 It Take You Away

Solitudine. È il vero protagonista di questo penultimo episodio di stagione di Doctor Who e il tema di fondo di una storia che, per una volta, riesce a stupire lo spettatore inserendo colpi di scena e diverse chiavi di lettura nel corso del canonico minutaggio.

Occhio agli spoiler da questo punto in poi.

Solitudine del Solitract, ovviamente. L’idea stessa di un qualcosa di senziente condannato all’isolamento eterno in quanto incompatibile con tutto ciò che di diverso da lui esiste è estrema e terribile. Mettendosi – per quanto possibile – nei panni di questo essere ai limiti della concepibilità, le sue azioni sono comprensibili e finanche giustificabili: l’eterna solitudine è una condanna che farebbe impazzire chiunque e il tentativo di attrarre persone, anche con l’inganno, per poter superare quel vuoto è un gesto tanto umano da non poter non essere familiare allo spettatore.

Lo stesso Dottore lo dimostra, offrendosi di rimanere con lui pur di appagarne la sete: quello della protagonista non è mero spirito di sacrificio, né un tentativo di ingannare il Solitract – si noti la differenza di interazione con Ribbon ad esempio -, bensì il riconoscimento di una creatura incredibile e del suo legittimo bisogno di avere compagnia.

L’offerta del Dottore è sincera e solo la scoperta della sua effettiva incompatibilità con l’essenza stessa del Solitract la porterà a convincere l’essere a rilasciarla, non senza l’amara consapevolezza di aver creato un nuovo contatto – un’amico, usando le sue parole – e di aver dovuto abbandonarlo immediatamente.

Ma se la solitudine del Solitract è la più lampante, più subdola e strisciante è quella che porta Graham ed Erik a essere vittime ideali della sua trappola. Entrambi sono reduci da un lutto ed entrambi vivono, dentro di sé, il vuoto di chi aveva nella propria vita qualcuno che la completava e se l’è visto strappare. Si può cercare di sopravvivere, di proseguire lungo la propria strada, di crearne una nuova, ma quel vuoto, quella solitudine interiore, sono ben lungi dal riempirsi. Non in tempi brevi. A volte mai.

Sembra solo logico, quindi, che il Solitract abbia percepito una solitudine tanto diversa eppure simile alla propria e abbia cercato di alleviarle tutte donando ciò che mancava e ottenendo, in cambio, la compagnia che anelava. Una creatura che non aveva esperienze di vita con altri esseri non può avere capacità di discernere oltre il semplice concetto di bisogno/soluzione diretta e questa è stata la spinta principale per il contatto con Erik prima e Graham poi.

Importante sottolineare, poi, la differenza tra i due vedovi.

Graham, che ha affrontato la possibilità di morire in prima persona, ha visto sparire, con Grace, la sua ultima speranza di sentirsi completo. Durante tutta la stagione abbiamo avuto modo di vederlo seguire il Dottore affrontando le avventure al meglio delle sue possibilità, ma mantenendo nel cuore l’amarezza della perdita. Graham è un uomo che, pur avendo perduto, ha deciso di andare avanti, alimentato anche dall’affetto per Ryan. È Ryan il suo legame con la vera Grace ed è il riconoscimento di questo mancato legame a farlo tornare in sé. Il dolore per la doppia perdita è devastante, ma si tratta probabilmente dell’ulteriore passo necessario alla sua ricerca di equilibrio. Il “nonno” pronunciato a fine episodio era atteso da tempo e non stupisce che avvenga proprio qui, ma è un momento di tenerezza che fa piacere nella sua prevedibilità.

– Sembra tu te la stia cavando bene senza di me
– Sono perso, Grace. Mi manchi. Per tutta la mia vita ti ho cercata e poi ti ho trovata. Ed ero così felice.
– Siamo in due.
– Poi ti ho persa.

Erik è una versione diversa del lutto. La prima reazione al suo comportamento è quello di fastidio. Di ribrezzo. Un padre che abbandona la figlia pur di stare con la moglie perduta. Inconcepibile. Inaccettabile. Forse. Ma la disperazione trasforma chi la prova e spesso l’amore perso diventa un velo che nasconde l’amore rimasto. L’egoismo del dolore sostituisce la responsabilità dell’amore. Erik è la rappresentazione di questo egoismo. Il suo comportamento è ben più che biasimabile, sia chiaro, ma non è incomprensibile e tanto meno così unico come si vorrebbe pensare.

Hanne si dimostra ben più matura del padre, in questo, riconoscendo come la sua perdita l’abbia trasformato e, ovviamente, svelando immediatamente la menzogna del Solitract. Ingenuamente simbolico ma non per questo meno d’effetto che sia la ragazza non vedente a riconoscere la realtà, come se fosse in grado di percepire l’essenza della non-madre attraverso i proprio sensi non obnubilati dal desiderio di placare il dolore. Erik ha visto ciò che desiderava vedere, Hanne ha sentito ciò che c’era.

Una menzione a parte merita Ryan, che attraversa un percorso personale durante l’intero episodio. Se la sua uscita iniziale con Hanne, in cui si chiede se semplicemente il padre non l’abbia lasciata, fa inizialmente desiderare di dargli una pugno per l’indelicatezza, fermandosi un secondo a vedere il mondo dal suo punto di vista ci si rende conto che quel pensiero istintivo è dimostrazione di quanto il trauma del suo stesso abbandono sia una ferita costantemente aperta. Per Ryan un padre può facilmente abbandonare un figlio, perché la sua esperienza è questa: un’esperienza che si dimostra tristemente profetica, aggiungiamo. Significativo come la persona che meno era sembrata empatica con Hanne sia anche quella che, alla fine, legherà più con lei, un po’ per esperienza comune e un po’ perché sopravvivere insieme alla Zona tra due Universi non può non farti superare qualche differenza.

Una critica letta su siti stranieri riguarda la mancata comparsa di personaggi del passato del Dottore. A primo acchito si potrebbe concordare, ma verrebbe meno il concetto di solitudine citato fin qui e, soprattutto, l’interpretazione dell’essenza di questa incarnazione: Dodici è stato il Dottore del lutto e della metabolizzazione delle perdite. Non solo ha portato con sé il carico dei suoi predecessori, ma ha perso Clara (e la sua memoria di lei, ma il vuoto è rimasto), ha perso Bill, ha perso River, ha anche perso Missy. La perdita è stata l’ultima sfida dell’incarnazione di Capaldi, che ha finito per accettarla nel momento in cui ha deciso di accettare una nuova rigenerazione. Tredici è il Dottore dell’equilibrio e della rinascita: in lei il Solitract non ha percepito quella solitudine dilaniante presente negli altri due, perché ha ceduto il passo all’accettazione.

Una parola finale relativa alla rana, uno dei momenti più sopra le righe del Dottore moderno. Sebbene la rappresentazione materiale dell’animale lasci parecchio a desiderare e la scelta di rappresentare il Solitract in quel modo possa far storcere il naso, chi scrive ha trovato la soluzione tanto assurda da essere azzeccata: siamo in un universo senziente, se vuole fare il cosplay di una rana che diritto abbiamo noi di criticarlo? Senza contare che i momenti tra il Dottore e il Solitract permettono a Jodie Whittaker di aggiungere ulteriori sfumature al suo Dottore, giocando su dialoghi funzionali e che portano con sé la storia del personaggio.

Uno dei migliori episodi della stagione è anche quello in cui il messaggio didascalico lascia spazio a una trama avvincente, a momenti di approfondimento emotivo e a dialoghi più spontanei e inseriti nella dinamica nella storia, a conferma di quanto più volte detto nelle precedenti recensioni.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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