Rieccoci

E nonostante il periodo sia sostanzialmente uguale a quello dell’ultimo post, con alti e bassi d’umore e di condizioni, è arrivato quel periodo dell’anno, il momento che coincide con l’attesa partenza dei Comics e, quest’anno praticamente sovrapposti, Samhain.

Non sto a ribadire per l’ennesima volta cosa rappresenti questo giorno a livello tradizionale e, sopratutto, personale: ci sono sul blog parecchi post al riguardo e chi è curioso sono certo andrà a leggerli. Il riassunto minimo è che siamo al Capodanno Celtico e che per me è momento di pausa, riepilogo e un piccolo sguardo avanti.

Non è stato un anno facile, per niente. Era iniziato col carico emotivo di agosto e, pur intervallato da momenti speciali come la celebrazione del matrimonio di cari amici, la partenza era indubbiamente in salita, per diventare un vero e proprio Everest a dicembre, con la morte di Stitch e le conseguenze sulla mia stabilità emotiva e mentale. Se il 2016 era stato un anno di dolore, paure e qualche delusione, la fine del 2017 ha ben pensato di metterci il carico e la cicatrice si fa ancora sentire. Una cicatrice che, con sé, ha portato anche nuovi cambiamenti, alcuni che attendevano da tempo e che inconsciamente ritardavo.

In primis il non essere più disposto a dare credito indeterminato a chicchessia. Figlio del mio voler sempre vedere il positivo in chi mi sta accanto, del mio bisogno di interagire e del mio retaggio di voler essere visto, per troppo tempo ho accettato rapporti o situazioni che vivevano sul credito di qualcosa di passato. Ma il passato può essere una componente in un rapporto presente: se ne diventa unica spinta, allora qualcosa non va e bisogna imparare ad accettarlo. Se per giustificare il tenersi vicino qualcuno si deve pensare a qualcosa accaduto uno o più anni prima e a nient’altro, allora non ne vale la pena. Mai.

Ho iniziato a non accettare più che comportamenti per me inaccettabili venissero perdonati. Ho iniziato a non essere più disposto a glissare su gesti arroganti provenienti da chicchessia. Ho iniziato a dire a me stesso “no, questa persona non ti fa bene” e ad agire di conseguenza, a volte in modo attivo, altre lasciando che una porta si chiudesse e rimanesse tale.

E quando nell’immediato la reazione è di alleggerimento e a distanza di mesi non c’è nostalgia di ciò che è rimasto fuori, allora ci si rende conto che sì, la scelta era non solo giusta, ma necessaria. E da allora non ho smesso, vincendo quel timore di restare soli che a volte può prendere, anche e soprattutto quando si superano i quarant’anni e sono più le porte che si chiudono che quelle che si aprono. Ma, banalità suprema, ciò che conta è la qualità. Non la quantità.

E poi di porte e di persone ce ne sono e ne sono arrivate. Non tutti amici, che la parola è da considerarsi preziosa, ma anche conoscenze che arricchiscono per il semplice fatto di esserci. E amicizie, sì. Vecchie (poche, a dire il vero) e più recenti, ma che col tempo si stanno rivelando preziose. Anche a distanza.

Per cui sì, nel 2018 alcune porte si sono chiuse, ma alcuni volti e nomi sono rimasti o sono arrivati. Penso a Giuseppe, la cui amicizia mi ha letteralmente salvato più volte in questi anni e che ha dimostrato che a volte i rapporti speciali si costruiscono a furia di cazzate dette e dell’esserci quando ce n’è bisogno. Senza dover aggiungere altro che se stessi.. Penso al piacere di una pizzata con Matteo, Giorgia, Annalisa e Andrea. Penso a Elly, Costanza, Alessandra, Valeria, Nico, Marco, Tania, Paolo, Noemi, Micol, Manu, Massimo, Ercole, Ian, Martina, Silvio, Salvatore, Giada, Laura, Cristina, Barbara, Jessica, Stefania, Simona e alla possibilità di esserci quando possiamo, come possiamo. Penso ad Alessia e al piacere di leggere gli articoli l’uno dell’altra e apprezzare lo stile e i contenuti reciproci. Penso a tutta la redazione, ad Andrea, a Simone, a Giuseppe, a Beatrice, Mabel, Martina, Daniele, Francesca, Claudia, Enrico, Gianmarco, Manuel, Stefano, Domenico: alcuni di loro sono incroci più o meno veloci in una chat o su un articolo, qualcuno è un contatto più frequente e piacevole, qualcuno è – almeno per me – un amico, ma tutti loro mi hanno permesso di sentire quest’anno passato più vivo e ricco. E non scordiamo Gabriele, ovviamente, da collega nerd forumista a beta tester del romanzo a collega su SerialFreaks. E penso ai genitori di Miss Sauron e al loro farmi sentire in famiglia, quando rischiavo di non averne più una.

Miss Sauron è discorso a parte. Non c’è bisogno di dirlo, non c’è bisogno di ribadirlo.

Fare i nomi delle persone è sempre un rischio, perché si rischia di lasciare fuori qualcuno, ma l’elenco non è esaustivo neanche lontanamente e chiunque sia nella mia vita e con cui interagisca in un modo o nell’altro è incluso. Chiunque. Perché gli altri stanno venendo portati fuori dalla porta.

D’altronde un vecchio meme diceva “Sto apportando dei cambiamenti nella mia vita. Se non mi dovessi sentire più, sei uno di questi”. Per essere corretto andrebbe detto “se non dovessi sentirmi o non dovessi risponderti più”. Perché, ribadiamolo, perché la porta rimanga aperta i contatti devono essere reciproci.

E per quante difficoltà ci siano state, non posso né voglio dimenticare il bello. Le recensioni e l’uscita dalla comfort zone.

L’intervista a Sara Serraiocco, pensata come un’idea folle, perseguita con faccia di tolla e ottenuta senza neanche crederci. Ne vado fiero come di poche cose.

E il romanzo. Sì, quel dannato romanzo che attende da anni. Ha ripreso. L’ho sbloccato. Ci sto lavorando. Ho finalmente un obiettivo per la sua fine. Certo, manca il titolo, giusto per dire. Ma ho un obiettivo. Poi ci sarà da rileggerlo e correggerlo non so quante volte, ma sarà diverso. E poi sarà finito e potrò pensare a cosa farne. Ma quel giorno sarà epocale e ancora non immagino come potrò sentirmi. 

E ovviamente le due pesti e il bestione. Li ho voluti fortemente quando mi sono reso conto di non poter amare me stesso se non avevo di chi prendermi cura. I primi mesi sono stati di paure per la loro salute, quasi sempre totalmente infondate e mosse dalle ferite, di scoperta dei loro caratteri, di conquista delle paure di Sheppard e dell’affetto di Sissi e Sasha. Oggi sono casa. Non è ancora come con Stitch, probabilmente non lo sarà mai, ma li amo comunque. Sono le mie piccole e il mio bestione e ringrazio ogni giorno di essere andato in gattile e averci voluto provare. Ogni giorno.

Non ho idea di cosa porterà questo nuovo anno. Per molti versi mi fa paura. L’incertezza sulle dinamiche lavorative. L’orrore del mondo che si sta formando intorno a noi. La consapevolezza di quanto possa accadere da un momento all’altro. Sono pensieri che mi destabilizzano, su cui cerco (a fatica) di non focalizzarmi ma che minano la mia serenità, con l’avvicinamento a quel mese di dicembre che da troppo tempo, periodicamente, chiede pegno. Quest’anno saranno dieci anni dalla morte di mio padre. Uno da quella di Stitch (lo stesso giorno, per non andarci troppo leggeri). Tre dalla scoperta della malattia di Zen. Non è facile. Non sarà facile.

Ma saranno anche i giorni del compleanno di Miss Sauron. Saranno preceduti dal nuovo viaggio a Londra e dal concerto di Katie Melua. Saranno seguiti da un capodanno con amici vicini e altri che non vediamo da troppo. Saranno preceduti da un momento che rappresenterà la chiusura di un cerchio e che, pur essendo mai stato un peso, sarà quanto meno la classica pietra miliare. Saranno caratterizzati dalla mia decisione di prendermi due settimane di vacanza. E poi si vedrà.

Voglio concentrarmi su questo. Devo provarci e devo riuscirci. Perché il brutto arriva, prima o poi, e lo fa senza preannunciarsi e senza che lo si possa prevenire, quasi mai per lo meno. Allora tanto vale gestirlo quando giunge e nel frattempo tenersi stretto quanto di speciale c’è. Perché ce n’è, ce n’è sempre. Tutto sta a ricordarselo. Lo scrivo qui per me. Lo scrivo qui per chiunque ne abbia bisogno. Chissà non serva.

Buona Samhain (anticipato) a tutti.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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