Marvel’s Agents Of S.H.I.E.L.D.: Season 5 – la fine, anzi no

Marvel’s Agents of S.H.I.E.L.D. ha sempre avuto un ruolo unico nel panorama delle serie tv (più o meno) supereroistiche: nata come spin-off di Avengers, senza veri pilastri se non il redivivo Coulson e i legami col Marvel Cinematic Universe, negli anni ha dovuto lottare per costruirsi un proprio pubblico e uno spazio tra la sempre più agguerrita concorrenza in casa Marvel e non.

Il suo essere corale, la struttura da serie classica da venti e passa episodi a stagione e, non ultimo, il non aver materiale specifico a cui attingere nell’universo cartaceo hanno definito le maggior difficoltà della serie che, di stagione in stagione, ha dovuto costruirsi la propria narrativa e i propri personaggi più sulla creatività degli sceneggiatori (inclusa la loro capacità di attingere a story-arc di vari personaggi e vari momenti storici) che sulla forza intrinseca del materiale originale: il risultato, pur non potendo soddisfare sempre tutti i palati, ha di certo conquistato una schiera di fan che hanno supportato la serie durante l’intero suo percorso, legandosi ai personaggi e alle vicende raccontate.

Le difficoltà d’identità (e di costi) si erano, durante l’anno scorso, riscontrate nella decisione di suddividere la quarta stagione in tre archi narrativi quasi del tutto separati, permettendo così agli autori di non diluire eccessivamente trame che, nella brevità, avevano il proprio punto di forza: una lezione solo parzialmente acquisita e rimessa in pratica in questa quinta stagione che, potenzialmente, poteva essere l’ultima.

La scelta relativa alla prima metà della stagione è stata coraggiosa: spostare l’azione in un futuro drammatico, con una rivelazione graduale e parziale delle vicende che l’hanno generato ma anche di quelle che vi hanno condotto i protagonisti, ha permesso una maggior libertà creativa e una gestione delle trame e delle ambientazioni fresca e appassionante. Sospendendo – parecchio – l’incredulità legata a un pianeta ridotto a una sola crosta sulla quale possono ancora girare alcuni esseri umani, lo svolgimento complessivo funziona, è sufficientemente ritmato da non fare annoiare lo spettatore e mantiene la quantità di mistero necessaria a tenerne alta la curiosità.

La perdita di alcuni personaggi che nella quarta stagione erano stati fondamentali, in primis quelli interpretati da Mallory Jansen John Hannah, si è purtroppo fatta sentire, ma è stata parzialmente mitigata da nuove introduzioni – in particolare quella di Deke (Jeff Ward), che poteva inizialmente far pensare a una sorta di sostituto del troppe volte ritornato Ward di Brett Dalton, ma che ha finito poi per costruirsi una propria nicchia funzionante e non scontata, inclusa la sua identità segreta, se tale possiamo definirla.

L’ambientazione spaziale ben si adatta ai personaggi, che possono così intraprendere strade nuove: purtroppo di spazio vero e proprio se ne vedrà sempre troppo poco, complice una (necessaria?) stretta al budget – la stessa che portò a ridurre le apparizioni di Ghost Rider nella Season 4 – che ha portato a privilegiare riprese al chiuso, con un gusto retrò che richiama classici di fantascienza come Star Trek o Doctor Who degli anni ’60.

L’uso dei Kree, per quanto funzionale, lascia qualche perplessità nella resa finale: il contrasto visivo tra i personaggi visti in Guardians of The Galaxy e questi è piuttosto netto e si ha a volte l’impressione di assistere più a una parodia estetica che alla rappresentazione della stessa razza aliena; un’impressione che ha fatto storcere il naso più volte a chi scrive ma più per gusti personali e amore di congruità che per veri difetti intrinseci.

La seconda parte della stagione, concentrata sul ritorno al giorno presente e sulla necessità di scongiurare il terribile fato del nostro pianeta, è quella più varia ma anche, per questo, caotica. L’idea di base, per quanto interessante, non è di per sé sufficiente a coprire l’intero arco di episodi necessari a giungere alla fine della stagione e le vicende vengono pertanto allungate con eventi, situazioni e personaggi la cui utilità non è sempre così evidente: nel giro di una dozzina di puntate i personaggi affrontano la minaccia dell’HYDRA del Generale Hale, sua figlia Ruby, un redivivo Strucker, un’alleanza aliena pronta a minacciare la terra, il potere del Gravitonium, la conseguente follia di Talbot e, dulcis in fundo, una non meglio definita – né realmente spiegata – dimensione oscura in grado di materializzare le peggiori paure degli astanti. Per non dimenticare un’improvvisa schizofrenia di Fitz, apparentemente motivata dal suo non aver accettato quanto accaduto nella stagione precedente.

Troppo, decisamente troppo, non dal punto di vista dell’azione, ovviamente, ma da quello degli approfondimenti, che finiscono per essere parziali o non esserci proprio e che penalizzano la gestione della psicologia di alcuni personaggi, Yo-Yo in primis.

Se, così, nella prima parte avevamo una forte attenzione all’organicità narrativa, nella seconda finisce per prendere il sopravvento il lato – se vogliamo – metanarrativo, quasi a rasentare il fanservice: esempi sono il matrimonio tra Simmons e Fitz ma, soprattutto, la nascente love story tra May Coulson, vissuta da chi scrive (opinione molto personale, quindi) più come un regalo ai fan focalizzati su questi aspetti che una vera evoluzione dei personaggi. A tal riguardo, una considerazione più generale è d’obbligo: sarebbe utile se, in tutte le serie di questo genere e non, si iniziasse a comprendere che non è necessario dar vita a una relazione sentimentale tra due personaggi dotati di buona alchimia; esistono le amicizie profonde, esiste l’affiatamento lavorativo, la svolta romantica è una strada facile che strizza l’occhio ad alcuni spettatori ma che troppo spesso preclude approfondimenti più interessanti sacrificati all’ennesimo gioco delle coppie.

L’occhio di riguardo ai fan è evidente anche nella scelta narrativa di richiamare eventi e personaggi di stagioni precedenti, a partire dal già citato Gravitonium per arrivare a Crusher Creel, alla piccola Robin e, non ultimo, al buon Lance Hunter, di cui si sentiva la mancanza: una piega sensata, giunti al quinto anno, che capitalizza sul pubblico della serie, ormai costituito soprattutto da uno zoccolo duro storico che viene così premiato per la fedeltà e la passione. Sempre in quest’ottica, la storyline dedicata all’abbandono – e probabile morte – di Coulson ha la giusta dose di emotività e pathos, in grado di rendere merito a un personaggio che è stato il collante della Fase Uno dell’Universo Marvel, il traino principale della serie fin dalla prima stagione e che torneremo a vedere nel passato nel prossimo film di Capitan Marvel.

Citando, a tal proposito, il Marvel Cinematic Universe, non possiamo non parlare del legame tra questa stagione e Infinity War. Chi scrive e, con lui, tutta la parte di redazione appassionata, dopo la visione del blockbuster si era chiesto come la serie avrebbe gestito i drammatici eventi mostrati ma, soprattutto, ciò che ha condotto al fatidico schiocco di dita. Se, infatti, serie come quelle Netflix possono permettersi di tenere una collocazione temporale molto vaga, Agents of S.H.I.E.L.D. ha sempre avuto – soprattutto nelle prime stagioni – uno strettissimo legame con l’universo originale, tanto da avere vicende che si svolgevano in Age of Ultron ma che ponevano le proprie basi in quanto visto nella serie: da un po’ di tempo, però, i legami tra Marvel TV e MCU si sono andati molto raffreddando, complice una ormai nota distanza tra Kevin FeigeIke Perlmutter, e il risultato è stato evidente; complice anche – sicuramente – la segretezza richiesta dal progetto Infinity War, gli autori di Agents of S.H.I.EL.D. sapevano chiaramente poco o nulla di quanto sarebbe accaduto nel film, tranne che sarebbe arrivato Thanos e che le conseguenze sarebbero state disastrose.

Il risultato, da questo punto di vista, è stato purtroppo insufficiente, anche – ironicamente – perché l’intera trama della stagione è concentrata su un’ulteriore minaccia al pianeta e sul contatto con razze aliene: troppo simile, troppo sovrapposto per non fare riconoscere un’occasione persa. Sarebbe stato meglio, a questo punto, sganciare gli svolgimenti dalla scala temporale dell’MCU, collocarli qualche settimana o mese prima e non fare riferimento a Thanos, piuttosto che dare un contentino magro, insufficiente e contraddittorio.

L’apice dell’episodio finale, concludendo, non è rappresentato dalla sconfitta definitiva del villain, ma dal degno epilogo di un’epoca. Dietro un titolo esplicito come The End il focus principale è sulla fine di un’era durata cinque stagioni, con l’uscita di scena di Coulson e un nuovo status quo del team, pronto a cercare il Fitz ibernato e ad affrontare nuove minacce: una puntata che, nelle intenzioni, voleva essere un perfetto finale di serie, dato che ancora non si sapeva se sarebbe arrivato un nuovo rinnovo; la sopraggiunta conferma di una sesta stagione ne ridimensiona un po’ l’impatto emotivo e ci porta a chiedere quali saranno gli sviluppi di una stagione che non solo sarà probabilmente l’ultima ma è già stata annunciata come di lunghezza ridotta. Sebbene il rischio di trovarsi davanti a una stagione come la quinta di Babylon 5 (gli appassionati capiranno) sia alto, la speranza è che gli autori siano in grado di scrivere uno story arc che renda merito ai personaggi e a una serie che, tra alti e bassi e gusti personali più o meno soddisfatti, ha appassionato i fan per cinque anni.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Consenso ai cookie GDPR con Real Cookie Banner