Dietro Baldwin: intervista esclusiva con Sara Serraiocco
Sono le 18.30 ora italiana, le 9.30 sulla West Coast. Dall’altra parte dello schermo, Sara mi accoglie sorridente e spontanea. Lo scambio di domande somiglia più a un flusso di chiacchiere tra amici e gli aneddoti e le risate non mancano ma, al contempo, ciò che mi viene trasmessa è una persona che ama lavorare sodo, che crede in ciò che fa e che non ama perdersi in inutili fronzoli. Un’artista seria e precisa che ama le sfide, si annoia davanti a qualcosa di troppo facile e che ha saputo far fruttare, dove necessario, il proprio bagaglio di esperienze come ballerina. Una piacevole conferma, che sono felice di condividere coi nostri lettori.
Buongiorno Sara e grazie di averci concesso questa opportunità. Direi di partire dalle origini. Tu nasci come ballerina e insegnante di danza, poi un incidente – una caviglia rotta – ti ha costretta a cambiare percorso. Quando hai capito che la recitazione sarebbe davvero stata il tuo futuro, che volevi fosse la tua carriera?
Forse dopo Salvo, il mio primo film. Ho provato l’esperienza sul set ed è stata molto gratificante. La cosa bella è stata identificarmi col lavoro di attrice. Come ragazza e come donna sono cresciuta insieme a questo lavoro: non c’è stata una mia crescita personale precedente che mi ha portato alla consapevolezza di voler fare l’attrice, come avviene in praticamente tutte le professioni; di solito c’è un percorso in cui prima si decide di voler diventare un certo tipo di professionista e poi si studia apposta: nel mio caso, dai vent’anni in poi, mi sono identificata con la figura dell’attrice e, in qualche modo, è stato come se non avessi neanche deciso. È stato bello ed è stata la mia più grande fortuna.
Una classica situazione alla Sliding Doors, se vogliamo, quando un imprevisto ti conduce in una direzione che non avevi immaginato e poi scopri che è quella che ti appartiene. Niente male.
No, niente affatto male.
Qual è stata, invece, la spinta che ti ha portato a lavorare all’estero?
Un mio film, Cloro, era stato selezionato al Sundance Film Festival ed ero rimasta affascinata da come il pubblico e gli addetti ai lavori si fossero approcciati al film, con estrema curiosità: lì incontrai un agente americano molto importante che iniziò a mettermi la pulce nell’orecchio. Purtroppo però il mio inglese era indecente: sono nata in una piccola cittadina, i miei genitori sono italiani, non ho mai avuto occasione di fare scambi culturali o di lavorare all’estero, nulla che mi permettesse di imparare a dovere la lingua. Così ho iniziato a studiare da sola e con un coach.
E come sei approdata a Counterpart?
Dopo lo Shooting Star di Berlino, dove mi hanno premiato come miglior talento europeo, un agente di Londra si è interessato a me: ho deciso di provare e ho fatto provini per alcuni mesi, dopo di che ho ottenuto il ruolo in Counterpart.
In soli sei anni sei passata dal fare un’apparizione in R.I.S. Delitti Imperfetti al recitare in vari film indipendenti italiani per poi arrivare a una produzione internazionale come Counterpart. Hai riscontrato grosse differenze dal punto di vista del tuo lavoro?
A livello artistico direi di no. Il mio lavoro è uno solo e io cerco di farlo nel miglior modo possibile. Faccio la mia parte, poi ovviamente una produzione americana ha più soldi e può investire di più dentro e fuori dalla scena, ma quello che conta per me è che il progetto mi appassioni.
E da quello che ho potuto capire dai tuoi lavori, la passione per il progetto è una condizione imprescindibile.
Sì, cerco di scegliere in base al mio istinto.
Legandoci al concetto di passione per il progetto: Baldwin è un personaggio molto particolare. Come ci hai lavorato e come ti è stato presentato quando hai ottenuto la parte?
Parti dal presupposto che con gli script americani non ti viene presentato niente, c’è un grosso timore nei confronti della fuga di idee e informazioni. Una volta arrivata in America, il produttore esecutivo Justin Marks si è preso carico di raccontarmi il personaggio così che io me ne facessi un’idea, ho parlato a lungo con lui per comprendere in che direzione andasse Baldwin, ma non ho mai avuto gli script completi. In più, prima del provino, avevo letto una bozza iniziale della sceneggiatura e mi aveva fatto tornare in mente Nikita di Luc Besson, così ho deciso di riguardare il film e ho intuito che loro desiderassero che Baldwin avesse qualcosa di Nikita.
Al contempo, però, hai anche avuto modo di dare vita a Nadia, la controparte di Baldwin. Si tratta della stessa persona, ma solo fino a un certo punto, a partire dal quale diventano due individui molto diversi. Come hai lavorato per renderle differenti?
A dire il vero Nadia mi è stata presentata la settimana prima di girare e la cosa mi ha presa un po’ alla sprovvista. Ho preso delle lezioni di violino, per essere più credibile, e di tedesco: non solo era la controparte, ma era violinista e parlava tedesco, e io non avevo mai studiato nessuno dei due! Per quanto riguarda la loro relazione, io le ho viste come due gemelle separate da un certo punto della loro vita in poi, con una che ha avuto la possibilità di studiare e trovare un lavoro stabile e l’altra meno fortunata e più invidiosa. Il confronto richiama molto anche le persone separate ai tempi dal muro di Berlino: magari due membri della stessa famiglia si trovavano separate dal muro e chi viveva a Berlino Est non aveva certo le stesse possibilità di chi era dall’altra parte, ma condividevano una base comune. Ho voluto che questo fosse il tipo di connessione tra Baldwin e Nadia.
Nella serie non interagisci con molti personaggi del cast, ma con J.K. Simmons hai avuto modo di recitare in quasi tutte le combinazioni possibili dei vostri personaggi: Baldwin e Prime, Baldwin e Alpha, Nadia e Prime. Come sono nate le interazioni di queste varianti? Le avete preparate appositamente oppure sono state spontanee sul set?
No, non c’è stato bisogno di preparazioni apposite. Nel momento in cui sei sul set sai di dover essere un personaggio piuttosto che un altro e il resto nasce dalle interazioni con chi hai di fronte: Prime ti darà un certo tipo di vibrazioni, Howard un altro e i miei personaggi nascevano dalle reazioni a queste vibrazioni; c’è poi da dire che lavorare con J.K. Simmons è veramente facile: lui è un attore estremamente generoso e, quando lavori con qualcuno di quel calibro, la cosa importante è ascoltarlo e agire di conseguenza. Se Howard era una persona con certe fragilità, Baldwin le notava e le sfruttava. Prime, col suo carisma, era in grado di influenzare Nadia.
E la scena al bar ne è dimostrazione.
Esatto. Simmons è talmente bravo da condurti nella direzione giusta, a me è bastato seguire la strada che mi indicava.
Oltre a Simmons, comunque, l’intero cast è pieno di talenti notevoli. Quello che si percepisce, come spettatori, è anche un’ottima alchimia con Nazanin Boniadi. Lo confermi?
Assolutamente sì. Tra di noi è nata un’amicizia, ma ci siamo trovate bene anche sul set. Justin Marks è stato molto bravo, nella scelta degli interpreti: ha una mente molto fine e una sensibilità che gli permette di trovare non solo la persona giusta per un ruolo, ma anche gli attori che sapranno relazionarsi al meglio tra di loro, un po’ come un direttore d’orchestra. La scelta di Nazanin è stata azzeccatissima: Clare, il suo personaggio, ha un carattere molto dominante nei confronti di Baldwin, le fa da mentore e guida. Due delle caratteristiche affascinanti di Baldwin sono il suo bisogno di figure che la guidino e la sua fatica nel trovare se stessa, un po’ come Nikita.
E Greta, interpretata da Liv Lisa Fries, rappresenta il momento in cui Baldwin cerca di trovare una propria identità e mostra le sue fragilità. La tua interpretazione ha ben reso queste sfumature emotive: a cosa ti sei ispirata per ottenerle?
Ho seguito molto il mio istinto. Leggendo il copione mi sono resa conto che questo personaggio sembrava pian piano spogliarsi della corazza e delle influenze che aveva stratificato addosso. Ho immaginato potesse essere il risultato di qualche training specifico che l’aveva resa ciò che era. L’incontro con Greta è stato lo scontro con una normalità per lei anormale, che la destabilizza. Il personaggio interpretato da Lisa è una ragazza comune di Berlino, poco più che ventenne, tutto ciò che non è Baldwin: lei vorrebbe esserlo, ma si rende conto che non potrà mai.
Il ruolo di Baldwin è molto fisico. La preparazione è stata molto difficile? Ci sono stati aspetti più ostici e altri che, al contrario, ti hanno divertita?
La preparazione fisico-atletica, essendo ballerina, è stata una delle esperienze più belle della mia vita. Mi sono allenata prima in Italia con degli stunts ed è stato bellissimo, poi ho continuato in America: sul set c’era sempre qualcuno che faceva da punto di riferimento per gli aspetti più critici e le correzioni dell’ultimo minuto. Sai, inizialmente non pensavo di avere la fisicità adeguata per rendere credibile un personaggio come Baldwin, ma quando poi mi sono rivista sullo schermo mi sono piacevolmente stupita: in Italia non avevo mai avuto un ruolo che potesse far uscire un certo tipo di carisma ed è stata un’emozione indescrivibile.
Mi ricorda la tua prima apparizione nel pilot, quando inizialmente sembri un personaggio di contorno e piuttosto fragile e poi si scopre chi sei in realtà. Sembra che la tua percezione di te abbia un po’ rispecchiato quella dualità.
Sì, assolutamente.
C’era una giornata tipo durante le riprese?
No, niente di particolare. Ogni giornata era definita dai call sheets e dalle scene previste di volta in volta.
Quanto è durata la produzione?
Parecchio: da novembre a luglio.
E ora a che punto siete con la seconda?
La stiamo girando. Abbiamo iniziato a febbraio. A febbraio, marzo e aprile abbiamo girato a Berlino, a maggio e giugno siamo a Los Angeles e poi da luglio a settembre saremo di nuovo a Berlino.
Io ci provo: puoi dirci qualcosa dell’evoluzione di Baldwin?
(ride) No.
Purtroppo Counterpart non è ancora arrivata su reti nazionali. Cosa ne pensi?
Ovviamente mi spiace molto. Sai, mi rendo conto che di serie anche molto buone ce ne siano tante e non posso pretendere che Counterpart sia una priorità per l’Italia. Di certo mi darebbe una bella soddisfazione personale, se fosse trasmessa da qualche rete pubblica o privata: anche sui social sto avendo uno splendido riscontro da parte di spettatori in tutto il mondo e mi spiace non poter vedere la stessa cosa col grande pubblico italiano.
Qualche domanda un po’ più generica. Molti attori dichiarano, comprensibilmente, di non avere molto tempo per essere anche spettatori di film o serie. Di te cosa puoi dirci? Ne guardi, siano esse attuali o passate?
Sì, assolutamente. Ho appena finito di guardarmi l’intera Californication, con David Duchovny. Amo molto le commedie intelligenti e, magari, spregiudicate e mi è piaciuta veramente molto.
Hai un attore o un attrice che consideri un modello da seguire?
Non in modo assoluto. Mi piace vedere un attore inserito nel suo ruolo e quindi, in un film, mi affascina vedere il lavoro che ha fatto e come il regista è riuscito a plasmarlo in base alle esigenze del copione: non amo giudicare gli attori in quanto tali, ma esclusivamente all’interno della loro performance.
Facciamo un’ipotesi assurda: metti che domani tu debba scegliere se lavorare per sempre solo al cinema o solo in serie tv, mantenendo la stessa potenziale visibilità e varietà di personaggi. Cosa sceglieresti?
Non lo so proprio, dipenderebbe da troppi fattori. Io sono estremamente istintiva e non penso mai prima a ciò che potrebbe essere: decido sempre una volta che ho il copione sul tavolo. Faccio il mio lavoro, senza farmi troppi trip mentali.
E, in quest’ottica, esiste un regista o un attore con cui ti piacerebbe lavorare in futuro?
Sì, certo, ma anche in questo caso è inutile mi ponga la questione, finché non si presenta l’occasione. E poi, sai, mi sono resa conto che a volte un regista con cui non avevi pensato in precedenza di lavorare sa sorprenderti: l’imprevedibilità è una delle cose che amo di più di questo lavoro.
E mi sembra che, nella tua carriera fino a oggi, tu abbia incontrato sempre registi il cui lavoro ti ha lasciata soddisfatta.
Sì, sono stata fortunata, mi sono sempre trovata molto bene coi registi e gli attori con cui ho lavorato.
E il tuo istinto ti ha guidata bene
Sì, assolutamente. Poi considera che sul lavoro cerco di essere generosa e non ostica, il che porta a instaurare buoni rapporti lavorativi e di squadra, così da creare qualcosa di bello insieme. Non mi piace l’individualismo, mi piace che il fine di tutti sia ottenere un buon prodotto finale.
Una concezione derivata anche dal tuo background di ballerina.
Esatto, perché comunque lavori come una squadra con l’obiettivo di ottenere un risultato comune.
Anche se immagino già la risposta, te lo chiedo comunque. C’è un qualche tipo di personaggio che non hai ancora fatto e che ti piacerebbe ti venisse proposto?
No, direi di no. Come ti dicevo amo molto l’imprevedibilità: dati i ruoli che avevo interpretato in Italia, non avrei mai immaginato di tagliarmi i capelli o di interpretare un personaggio omosessuale, e invece eccomi qua. Amo essere stupita.
E tra gli stupori che potrebbero giungere, ti piacerebbe anche quello del teatro?
Non lo escludo, ma devo dire che in questo momento amo molto il lavoro sul set, davanti alla macchina da presa, l’empatia col regista, il rapporto col direttore della fotografia e con altre figure di riferimento. Le percepisco come parte del mio mondo. Mi trovo bene sul set e non sono certa che mi troverei bene sul palco: non ho la pretesa di essere un’attrice a 360 gradi, ma non si può mai dire.
Un’ultima domanda: c’è qualcosa che vuoi dire al pubblico di SerialFreaks?
Di guardare la seconda stagione di Counterpart (ride).
(intervista raccolta via Skype il 4 giugno 2018. Immagini fornite da Sara Serraiocco. L’autore ringrazia personalmente Sara Serraiocco per la disponibilità mostrata).