Attese e affidabilità
Se c’è una cosa che faccio veramente fatica ad affrontare, sono le attese.
In questi ultimi anni troppi eventi mi hanno messo nella condizione di dover aspettare: alcuni, addirittura, sono ancora in ballo da otto mesi dopo le attese precedenti e non è ben chiaro se e quando si sbloccheranno.
Uno potrebbe pensare che, essendo stato costretto a doverne subire tante, ormai dovrei essere in grado di gestirle, ma la verità è ben diversa.
Odio aspettare.
Ma non per l’attesa in sé, quella, di suo, sarebbe gestibile.
Odio aspettare perché non ho garanzie sull’affidabilità altrui e questo mi fa impazzire.
Se io prendo un impegno – sia esso di mandare una mail, un messaggio, dare una risposta, dare un aggiornamento – cerco in ogni modo di rispettarlo e, in caso di problemi nel farlo, avviso comunque la persona in attesa perché mi sono preso la responsabilità di darle una risposta.
Se dico “domani ti scrivo” lo faccio. Se dico “entro questa data ti faccio sapere” lo faccio.
Qualcuno potrebbe chiamarla pignoleria, io lo chiamo rispetto per le esigenze e il tempo altrui, oltre che per la parola che do.
Ecco, il problema è che troppi non fanno così e, se mi trovo a dovermi affidare, non ho la certezza che certi impegni verranno rispettati.
Vale per i clienti.
Vale per i fornitori.
Vale per gli avvocati.
Vale per il gattile da cui sto aspettando notizie.
Non so quante volte mi sia capitato di aspettare e, una volta superata l’attesa tollerabile, chiamare o sollecitare per sentirmi dire “Ah, sì, scusa, dovevo aggiornarti”.
Ecco perché sclero, perché se mi affido, poi spesso mi trovo a pentirmi di averlo fatto.
Mi piacerebbe tanto aspettare con fiducia, sedermi sul divano e dire “nessun problema, tanto so per certo che si farà/faranno vivi”: il 90% delle volte non avviene e io, alla fine, devo fare sforzo doppio o triplo, senza contare che a quel punto il tempo per agire – se necessario – si riduce.
“Rilassati”.
Già.
Io mi rilasserei, se il mondo fosse affidabile.
Fanculo.