The Handmaid’s Tale: Cronaca di un Futuro Terribile
La letteratura distopica e fantascientifica più o meno classica è ormai da tempo fonte di idee e ispirazione per molte delle serie tv viste negli ultimi anni: se esempi recenti sono The Man in The High Castle, adattamento dell’omonimo romanzo di Philip K. Dick, o Westworld, ispirato al film scritto e diretto da Michael Crichton, accanto a loro si va a porre a pieno diritto The Handmaid’s Tale, adattamento prodotto da Bruce Miller per conto di Hulu del romanzo datato 1985 di Margaret Atwood “Il Racconto dell’Ancella“.
Distopia ed Estinzione
Volendo introdurre asetticamente il genere di storia, dovremmo iniziare col dire che siamo appunto in presenza di una distopia: una realtà alternativa – o un prossimo futuro plausibile – in cui qualcosa è andato diversamente da come lo conosciamo, generando un qualche tipo di aberrazione sociale; nel nostro caso, il pianeta Terra è ormai devastato da guerre e inquinamento, l’intera popolazione mondiale si trova a confrontarsi con il problema della sterilità e la sopravvivenza stessa di molte nazioni e della razza umana è a rischio.
In questo mondo, gli Stati Uniti come li conosciamo non esistono più, dopo che una serie di eventi – che non sveleremo per non rovinare la visione di chi ancora non ha recuperato la serie – ha cancellato quel nome dalle mappe sostituendolo con uno nuovo, la nazione teonomica di Gilead. La nuova struttura, con un governo di tipo elitario costituito da sedicenti comandanti, è nato con il solo scopo di ripulire il paese dalle aberrazioni, dal peccato, da ogni sorta di colpa che Dio può aver giudicato sufficientemente grave da condannarli alla morte per sterilità.
Le aberrazioni sono un classico della distopia, con un accento sull’aspetto fondamentalista religioso: il sesso con fini diversi dalla procreazione, l’omosessualità, le relazioni interrazziali e non matrimoniali, ma soprattutto, fulcro di tutta la narrazione, l’uguaglianza tra uomo e donna. Le donne di questo mondo flagellato dalla sterilità hanno la gravidanza come unico obiettivo: se il mondo è in buona parte sterile, è sicuramente colpa del fatto che in passato si sono dedicate a compiti non idonei come lavorare, scrivere, leggere, emanciparsi. Una donna in Gilead può solo essere moglie, cameriera di casa o Ancella, ruolo cardine per la prosecuzione della specie.
Le handmaids sono la base dell’idea di Gilead: ispirandosi alla vicenda biblica di Rachele e Giacobbe, l’elite al governo ha deciso di raggruppare tutte le donne ancora fertili e renderle, senza mezzi termini, schiave. Persino il loro nome viene cambiato: a seconda della famiglia a cui vengono assegnate si chiameranno Offred, Ofglen, Of-qualcosa, cioè appartenente a uno specifico comandante. Il loro solo compito è quello di dare figli all’elite, attraverso uno stupro nei giorni fertili, camuffato con il più altisonante termine di “Cerimonia” con tanto di posizioni da assumere e collaborazione da parte della moglie.
Attraverso gli occhi di Offred/June scopriamo il mondo di Gilead, le sue regole, ciò che rimane del vecchio mondo e come si è arrivati a tanto. Il meccanismo è quello classico dei flashback, studiati in maniera tale da incastrarsi in modo armonioso nella narrazione, e solo quando non riguardano la protagonista possono risultare un po’ forzati e lunghi, sebbene necessari per fornire il quadro d’insieme della rivoluzione. Con abile maestria fotografica, le scene del passato hanno una luce diversa, inquadrature e tempi differenti, così da rendere ancora più stridente il confronto con ciò che era e ciò che è diventata la condizione delle donne. L’impeccabile regia di The Handmaid’s Tale ci fa percepire vividamente la disperazione di June, la sua rassegnazione, la rabbia e il desiderio di ribellione. La recitazione di Elizabeth Moss è magistrale e con lei spicca anche Alexis Bledel, nel ruolo di Oflgen, nella trasposizione della condizione omosessuale femminile nel nuovo mondo, fulcro del terzo episodio della stagione.
Nei flashback arriveremo lentamente a renderci conto di quanto la nascita di Gilead, apparentemente così lontana, sia in realtà a un soffio dalla realtà che conosciamo. È per questo che vedere The Handmaid’s Tale è sì appagante, grazie ad una scrittura da brivido, ma anche importante in un senso più ampio: perché ciò che succede a Gilead potrebbe effettivamente accadere.
Distopia e Realtà
Che delle forze destabilizzanti prendano il potere, usando mezzi e pretesti necessari – il terrorismo è una scusa addotta nella serie, drammaticamente vicina a noi – ha sfumature di possibilità. Che si pontifichi che gli omosessuali siano “traditori del proprio sesso”, e in quanto tali aberrazioni da punire o sopprimere, è già un pensiero dominante in diverse realtà, contro le quali si lotta per acquisire o mantenere diritti civili. Che le donne non abbiano diritti e siano relegate al ruolo procreativo, senza possibilità esplicita di emanciparsi, è triste realtà in alcune parti del mondo ed è ancora tanta la strada da fare per una vera parità anche nella nostra società.
Potrebbe accadere che qualunque nefandezza venga giustificata come volere di un Dio, che la legge del taglione torni in voga, che lapidazioni ed esecuzioni pubbliche diventino la norma. Potrebbe accadere che il fanatismo religioso riprenda il potere temporale, che la libertà sempre data per scontata sparisca nel nulla da un giorno all’altro, che la scelta sia tra il sopravvivere in schiavitù o il morire in modo più o meno doloroso.
The Handmaid’s Tale ci mostra un mondo che ancora distante, eppure sentiamo a pelle quanto poco ci separi da esso: è sufficiente vedere come quel mondo, così simile al nostro, sia crollato in poco tempo per renderci conto di quanto sarebbe facile trovarci nella stessa situazione e non crederci fino a che non sarebbe troppo tardi.
Migliore non significa mai migliore per tutti, ma significa sempre peggiore per qualcuno.
I flashback in cui le nuove forze prendono il potere sono terribili perché completamente plausibili. Lo stupore di chi vede la libertà sparire è esattamente quello che comparirebbe sul nostro volto e vedere questa serie significa ricordarci che ogni cosa che abbiamo non è un diritto acquisito. Fa male non solo per la drammaticità della condizione femminile, dominante nell’economia della narrazione, ma anche perché fa riflettere su privilegi e conquiste per cui lottare con i denti anche per mantenerli.
È un promemoria, un avvertimento, uno scorcio di un futuro che non deve avverarsi, affinché non ci siano mai delle Offred, non ci sia mai una Gilead, non si avveri mai The Handmaild’s Tale, e non prenda mai il controllo chi, nella propria sporcizia, decide di ripulire il mondo trasformandolo a sua immagine.