Sfogo
Quando ero un bambino non avevo molti amici. Diciamo pure che non ne avevo, suvvia. C’era, sì, un mio coetaneo nel palazzo con cui capitava di giocare, ma niente di più. Anche quando si andava in campagna avevo dei miei coetanei, ma avevamo tanto poco in comune da essere poco appetibile come amico. Così ero parecchio solo e, sinceramente, la cosa mi pesava abbastanza, tanto da cercare, comunque, la compagnia di queste persone così diverse da me, compagnia che a volte mi veniva concessa (è il caso di dirlo) e altre no.
Mia madre, vedendomi starci male, mi disse una volta di smettere di cercarli, che se avessero avuto voglia potevano cercarmi loro, al che ricordo che le risposi che, però, così rischiavo che non mi cercassero mai.
A quel punto mi chiese qualcosa di banale eppure verissimo: “e tu hai voglia di stare con persone che non hanno voglia di cercarti?”.
L’ovvia risposta avrebbe dovuto (e dovrebbe sempre) essere un no convinto e secco, ma quando qualcuno ha sete, una goccia può sembrargli tanto dissetante da anelarne ancora, anche se in realtà la sete finisce con l’aumentare.
Quel tipo di sensazione, come molte che viviamo in giovane età, mi è rimasta incisa dentro e sono sicuro sia una degli ingredienti che hanno dato origine alla mia disponibilità, al mio essere sempre pronto a cercare le persone, ad ascoltare se si fanno vive, a proporre di fare qualcosa, al mandare messaggi anche solo per salutare. Uno dei meccanismi che conosco benissimo è quello che mi fa dire “se non mi faccio vivo potrebbe pensare che me ne frego”: pensiero che sarebbe anche corretto se fosse reciproco.
Già, perché con troppe persone (e non parlo solo di quelle che interagiscono con me) finisce per funzionare così.
Loro non cercano, si fanno cercare.
A volte rispondono anche con entusiasmo, altre a monosillabi, altre ancora direttamente non si degnano neanche perché loro sono troppo impegnate.
E non ti invitano, ma aspettano che tu organizzi qualcosa e le cerchi: poi magari verranno e saranno anche contente, ma difficilmente faranno altrettanto, perché tu vai bene come organizzatore, non come invitato. La tua presenza non è necessaria, al massimo torna comoda.
Per non parlare poi del mandare messaggi per prime se non hanno bisogno di qualcosa (sia esso materiale o come supporto morale): i famosi “come stai?” o “avevo voglia di sentirti” sono inesistenti per queste persone.
E tu, troppe volte, avendoci a che fare finisci per fare il primo passo. Mandare messaggi. Cercare. Chiedere come stai. Organizzare qualcosa. Perché pensi “va beh, sono fatti così”. Perché loro stessi dicono una cosa del genere “io sono fatto così, ma mi fa piacere se ti fai sentire, eh?”.
Bene, sapete una cosa? Se siete fatti così siete fatti male e forse è il caso vi diate una regolata.
Perché vi svelerò un segreto: le persone che cercano gli altri, quelle che si interessano, quelle che si sbattono per organizzare qualcosa, non è che lo facciano senza impegno, eh? Non è che queste attività vengano gratis. Si tratta di investimento di energie, fisiche ed emotive, di dedicare concentrazione, tempo della propria vita, esclusivamente per interagire con voi e voi come le ripagate? Dandolo per scontato. Degnandovi a volte di prenderne atto e altre neanche. Buttando in certi casi nel cesso l’impegno di qualcuno che sta dimostrando interesse nei vostri confronti.
E, chiariamo, non è che l’interesse debba sempre essere ricambiato, ovviamente, ma a quel punto non si sfrutta neanche quando fa comodo. Quando siete giù. Quando avete bisogno di un consiglio o di un favore. Quando avete mezz’ora di buco da riempire. Se non avete sufficiente interesse per fare il primo passo ogni tanto, fate il favore di gettare la maschera dell’amico (anche solo di cazzeggio) e mostratevi per ciò che siete: estranei che possono avere interesse a tenersi buono quello che ascolta o che organizza o che ha certi skill che magari potrebbero tornare comodi.
Io, personalmente, sono stufo. Ci sono, è vero, (poche) persone che dimostrano il piacere nel sentirsi e vedersi, ma troppe tengono il proprio culo al caldo sbattendosene altamente. Sapete cosa? Ora si inizia a ricambiare. Ora si inizia a farsi sentire/vedere/cercare solo da chi fa altrettanto e l’ha già dimostrato. Perché io, a 43 anni, non posso trovarmi in situazioni che conoscevo 35, 30, 25 anni fa. “I’m too old for this shit” vale anche adesso, solo che devo ricordarmelo.
Sapete dove sono, posto che vi interessi.
La mia porta rimane aperta, ma per un (bel) po’ non uscirò da lì se non perché qualcuno bussa o per pochi che hanno bussato da poco. Gli altri, non ne dubito, non sentiranno la mia mancanza, almeno finché non avranno bisogno.
Questo mi porterà a rimanere solo? Può essere. Può essere che il mio status quo debba essere quello e, statene certi, non ne sarei felice, nel caso. Ma io, di comprare l’attenzione altrui, non ho più voglia.
Valgo più di così, di questo sono sicuro.
Cosa celebri oggi?
Celebro le mosche bianche. I “come stai?” che da alcuni arrivano, i messaggi di condivisione, i “pizza stasera?” di qualcuno, qualche “quando ci vediamo?” letto e non scritto.
E, per motivi completamente diversi, celebro ristoranti libanesi, pizze al trancio, mini cabrio e film con la trama discutibile ma visti al momento giusto.
“Bene, sapete una cosa? Se siete fatti così siete fatti male e forse è il caso vi diate una regolata.”. Applausi.
<3
sottoscrivo in toto.
🙂