Lifetime

Ho un rapporto difficile, molto difficile, col tempo, col tempismo, con l’attesa e con la pazienza. Un po’ è una questione caratteriale: aspettare è, per quanto mi riguarda, un’attività acquisita per ottenere la quale devo fare una sorta di violenza su me stesso; l’anno passato, quindi, non è stato solo una tortura per ciò che le paure e i pericoli rappresentavano, ma anche per la necessità costante di attendere senza poter agire.
Poi, chiariamo, non ho bisogno che i risultati ci siano subito: non ho alcun problema coi progetti a medio o lungo termine, finché in quei lassi di tempo io posso fare qualcosa per avvicinarmi all’obiettivo: ma aspettare che qualcuno faccia qualcosa o che, comunque, qualcosa avvenga senza miei interventi è davvero una prova dura per me.

Unito a questo aspetto, c’è anche una serie di problemi di “tempismo” o di tempo che troppo volte negli anni mi sono capitati.
Non so quante volte a voi sia successo di conoscere qualcuno (potenziale amico o altro), di trovare enorme affinità reciproca e che poi, per coincidenze del cavolo, la vita di questa persona subisce in contemporanea o poco dopo un cambiamento (lavoro, amore, abitudini, studio) che lo/la portano in una direzione tale per cui qualunque potenzialità va a farsi benedire e finisci per rimanere con l’amaro di un what if che mai avrà svolgimento.
Ecco, a me è successo tante, troppe volte e il risultato è che ora, quando mi capitano nuove situazioni potenzialmente piacevoli, siano esse lavorative, di amicizia, di esperienze varie, ho l’istinto di farle tutte subito, di prendermele, di stringerle come se qualcuno volesse rubarmele per evitare che spariscano prima di averle potute vivere.

È una reazione istintiva che può lasciare (e, di fatto, lascia) spiazzate le persone intorno che non comprendono la foga e l’entusiasmo mentre tu hai l’omino in testa che ripete “eh no, stavolta non mi fregate, questa cosa la voglio fare io”.
Stupido? Non saprei. Di sicuro frustrante, perché non fa sempre vivere le cose nel modo migliore, a dir poco.

Ma soprattutto c’è qualcosa che ho scritto tempo fa e che ripeto qui, perché è meglio ribadirla: piantatela di pensare che ci sia sempre tempo.
Cresciamo col pensiero ci sia sempre tempo. Ci abituiamo a pensare “va beh, se non è oggi sarà domani”. Non baciamo, ci dichiariamo, diciamo “ti voglio bene” o “ti amo”, chiediamo scusa, abbracciamo, chiamiamo, stringiamo, ringraziamo, perdoniamo perché pensiamo che tanto potremo farlo domani o dopodomani.
Cazzate.
Si, potremmo.
Ma potremmo anche non poterlo più fare.
Potremmo anche non avere più occasione, perché la vita arriva e fa quello che pare a lei e, con lei, anche il suo contrario, per quanto non sia necessario arrivare a tanto.
Voi sapete dove siete oggi. Dove siete ora. 
Pensare che domani sarà esattamente così è una presunzione che un giorno si rivelerà falsa: non è questione di se, è questione di quando; arriverà il giorno in cui non potrete più fare quello per cui pensavate ci fosse tempo.
Questo, tra ciò che ho elencato, è l’unico pensiero relativo a tempo e tempismo che considero un dono piuttosto che un fastidio: ho imparato sulla mia pelle che il tempo finisce, che arriva il momento in cui non possiamo più fare ciò che avremmo voluto. Mai più.
Ditele quelle cose. Ditele oggi. Ditele quando le provate. E fatele, fatele il più possibile. Arriverà il giorno in cui il peso di qualcosa di non fatto sarà molto maggiore di quello di qualcosa di fatto. Molto.
Fatelo.
Oggi.
Ora.
Fatelo.

You lived what anybody gets. You got a lifetime. No more. No less.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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