Flashback

Ci sono canzoni che scopriamo per caso, in momenti particolari della nostra vita, e che col tempo apprendiamo avere una storia molto più antica, complessa o semplicemente particolare di quella che credevamo.

Ad esempio questa, di cui parlo stasera.

L’anno era il 1983 e, nei fine settimana, capitava di essere alla nostra casa in campagna. Quell’anno, il sabato sera andava in onda una trasmissione di Sandra Mondaini e Raimondo Vianello, Attenti a noi due. Erano i tempi della tv in differita e degli spettacoli contenitore con ospiti ricorrenti o musicali: in quella trasmissione, ad esempio, si erano susseguiti nomi italiani famosi dell’epoca, da Riccardo Fogli a Marcella, da Ornella Vanoni ai Matia Bazar, ma anche Hall & Oates e Sheeen Easton, per dire. 
Nell’83, del cast faceva parte anche un gruppo inglese che si faceva chiamare “Wall Street Crash”: tra le altre cose cantavano la sigla finale, una canzone che ricordo mi piacque tantissimo; i miei ricordi me la portano alla mente cantata in italiano con pronuncia inglese molto forte, ma andando a rivedere scopro che probabilmente buona parte era in inglese e solo gli ultimi versi in italiano.  

Fatto sta che mi innamorai di quella canzone, della sua melodia triste, della sua malinconia.

Solo tanti anni dopo scoprii che quel pezzo era in realtà molto più vecchio ed era stata inciso nel 1965 da Pino Donaggio: si trattava di “Io che non vivo”, un brano che tutt’ora trovo evocativo, forse un po’ ingenuo nel testo, ma comunque splendido.

Salto in avanti negli anni a qualche mese fa, quando guardando I Love Radio Rock mi è capitato di riconoscere quella canzone, stavolta cantata in inglese col titolo You Don’t Have to Say You Love Me e da un’interprete femminile (Dusty Springfield): stupore per averla trovata in un film del genere, ma anche nello scoprire, in seguito, che il brano in inglese era, in realtà, cover di quello italiano ed era stato inciso un anno dopo, nel 1966.

Quindi nel 1983 questa canzone veniva ri-cantata dai Wall Street Crash, che la cantarono (in entrambe le versioni) in una trasmissione che molti avranno dimenticato ma non l’allora 9enne che, a distanza di anni, finì per reincontrarla e scoprirne la vera storia, percorrendola quasi all’inverso.

Non c’è una particolare morale dietro a questo aneddoto, soltanto un racconto di coincidenze, di percorsi tra vita e musica che si sfiorano più volte e, perché no, di una bella canzone, stavolta in due versioni diverse.

A voi scegliere quella che preferite: nei video le tre versioni, e in radio blog (e qui sotto come file audio) quella di Dusty Springfield.

Buon ascolto e visione.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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2 risposte

  1. Fiorella ha detto:

    Io vecchierella del ’61 mi ricordo e canto ancora la versione “originale” di Pino Donaggio.
    Che tempi…che ricordi, perché anche se ero piccolissima, le canzoni d’allora rivivono sempre in me, ognuna con il suo bagaglio di ricordi.

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