The legends of River Song
River Song.
Chiunque non conosca Doctor Who non avrà idea di cosa questo nome significhi, chi invece è un fan starà già sorridendo.
River, la moglie del Dottore, uno dei personaggi meglio tratteggiati da Steven Moffat, è anche indiscutibilmente uno dei più amati dai fan, che godono di ogni episodio in cui compaia (ce ne saranno altri? Dubito, ma mai smettere di sperare…).
Del personaggio, però, si è sempre saputo poco: o meglio, si è sempre saputo che c’erano un sacco di sue avventure mai raccontate e che suonavano piuttosto stuzzicanti.
Ecco, The Legends of River Song si propone di raccontarne qualcuna ed è il motivo per cui, visto da Forbidden Planet lo scorso luglio, non ho potuto lasciarlo dov’era.
Il libro è in realtà una raccolta di cinque racconti che si focalizzano ognuno su altrettanti momenti nella vita di River, tutti comunque successivi al suo matrimonio col Dottore, Dottore che compare in tre di questi a volte come coprotagonista, altre come poco più che una comparsa.
Essendo scritti da autori diversi anche il livello di gradimento può cambiare parecchio e, soprattutto, se alcuni aggiungono tasselli molto interessanti, altri lasciano il tempo che trovano raccontando poco più che un divertissement in cui si continua a mostrare il carattere di River che i fan ben conoscono: il problema è che giocare su carte sicure non è sufficiente a ottenere un risultato che vada oltre la sufficienza.
Se, quindi, è estremamente divertente vedere River e il Dottore interagire in un enorme parco dei divertimenti ispirato alla mitologia nordica o se lo è ancora di più vederla comparire in una vicenda collocata una settimana prima del primo episodio del Nono Dottore (con Eleven che accenna alla cosa in modo piuttosto efficace), molto meno interessante è leggere una vicenda su un parco dei divertimenti (sì, un altro) ispirato a Venezia o su creature antiche quanto i Time Lords che, però, vengono sconfitte fin troppo facilmente.
Sia chiaro, il libro si legge volentieri, è divertente e scorrevole, ma sicuramente bisogna essere veri fan per valutarlo con qualcosa di più di una semplice sufficienza.
È svago, quello sì.