L.A. Confidential

Aneddoto: tanti, tantissimi anni fa, quando ancora non avevo quasi mai letto thriller, mi fu regalato “Io uccido” di Faletti. Mi piacque molto e mi colpì soprattutto lo stile. Quando, tempo dopo, iniziai a leggere Deaver mi resi conto che quello stile che avevo trovato così nuovo e interessante era, in realtà, derivato (con una perdita nel processo, c’è da dirlo) proprio dal buon Jeffery; Faletti (che era anche amico di Deaver) era figlio dello stile e della narrazione dell’autore statunitense.

Bene, la sensazione che si ha leggendo L.A. Confidential è esattamente la stessa se sostituiamo a “thriller”  “noir/hard-boiled”, a Deaver James Ellory e a Faletti una buona parte degli autori che sono venuti dopo.

Non mi ero mai avvicinato a Ellroy, per me è sempre stato uno di quegli autori famosi, rinomati, adorati dai suoi lettori a cui prima o poi avrei dato una possibilità, possibilità che è giunta ora nella forma di L.A. Confidential.

La prima impressione (che richiama quanto detto sopra) è che probabilmente su un’enciclopedia, alla voce “hard-boiled” dovrebbe comparire la foto di Ellroy: è il suo stile che ha posto le nuove basi per il genere, le ambientazioni, il modo di narrare secco e diretto, le immagini forti trasmesse senza un eccesso di descrizioni eppure vivide.

Colpisce per immediatezza ed efficacia, così come colpiscono i suoi personaggi. Il bianco e il nero non esistono. Esistono grigi chiari, scuri, ma solo tanti, infiniti grigi che cambiano tonalità durante lo svolgimento della vicenda e degli anni che copre: ci si può trovare a detestare un personaggio, a disprezzarlo e poi a fare il tifo per lui oppure, all’inverso, a provare empatia per un altro finché non rivela i suoi lati peggiori. Come nella vita reale, no?

E come nella vita reale la quantità di personaggi che si susseguono è impressionante e molti appaiono per sparire poco dopo o, magari, ricomparire centinaia di pagine (e/o diversi anni) dopo.
Il risultato è per certi versi caotico, non posso negarlo: abituati come siamo a seguire pochi personaggi, ricordarne le caratteristiche, affezionarci o odiarli e, spesso, a non scoprire il nome dei secondari, qui si ha quasi un eccesso di informazioni; tanti nomi, viene da dire istintivamente troppi nomi, arrivano e inizialmente si cerca di dare loro il posto a cui siamo soliti: poi si impara e si capisce che con questo romanzo (e, immagino, con Ellroy) non è possibile, non funziona così. Le informazioni arrivano e vanno fatte scorrere, quelle importanti da ricordare rimarranno, le altre diventeranno una cornice, un sottofondo, un ingrediente speziato per la vicenda principale.

E la vicenda principale, quella, vi rimarrà: nella sua complessità, nei suoi colpi di scena, nella meticolosità degli incastri adeguatamente costruiti ma, soprattutto, nella sua realtà.

Se, come me, non lo conoscevate e avete voglia di fare un viaggio sporco, difficile, appiccicoso, violento e amaro nella Los Angeles degli anni ’50, fatelo senza dubbi. Io, di certo, tornerò prima o poi in quel mondo.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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