È solo il web, dai
Che io non abbia una particolare stima per Selvaggia Lucarelli penso sia noto.
Spesso e volentieri non mi piace quello che dice o scrive e non mi piace come lo fa.
Detto questo, però, come al solito trovo che un conto sia contrastare qualcuno sulle sue idee e su come le esprime, un altro sia attaccare personalmente qualcuno, cosa che lei subisce spesso (e fa, per essere onesti).
In questi attacchi la quantità di volgarità, di insulti, di schifezze che le vengono rivolti è impressionante, tutto su pagine pubbliche, leggibili da tutti.
Proprio per questo motivo lei ha preso l’abitudine, periodicamente, di recuperare le informazioni di chi ha certe uscite e contattarli telefonicamente via radio per esortarli a ripetere cos’avevano scritto in precedenza.
Ora, che si ritenga o meno giusta la gogna mediatica invece dell’utilizzo degli strumenti legali, quello che mi interessa è soffermarmi su qualcos’altro.
Praticamente tutti quelli che vengono contattati finiscono per rispondere in modo tristemente similie:
“io veramente stavo scherzando”
“come hai trovato il numero”
“ma è solo una cosa scritta sul web”.
Ecco, proviamo a soffermarci un secondo.
“Stavo scherzando”.
Scherzare affermando che una persona dovrebbe essere picchiata o uccisa non è scherzare. Scherzare ritoccando le foto di un minore (il figlio) facendogli reggere una scritta che dice “mia madre è puttana” non è scherzare. È diffamare o peggio.
“Come hai trovato il mio numero?”
Perché, imbecille, non sei anonimo. Non sei al sicuro. Non ci vuole nulla a recuperare le tue informazioni se davvero si vuole.
“È solo una cosa scritta sul web”.
Ecco, questa, che ho lasciato per ultima, è la più significativa e grave. Solo qualcosa scritto sul web? Come se il web e la vita reale fossero qualcosa di diverso. Il vero problema è che tanti, troppi davvero pensano che siano qualcosa di diverso. Che il web sia una sorta di zona franca dove lasciare uscire le peggiori cose. Dove si può insultare, bullizzare, umiliare, sparlare, divulgare senza conseguenze.
Dietro uno schermo si sentono invulnerabili.
Dietro uno schermo pensano di essere protetti.
Dietro uno schermo pensano di non avere alcuna responsabilità, meno ancora che nel mondo reale e tutti sappiamo quanto già questo termine sia raramente usato di solito.
L’ignoranza e la superficialità nella conoscenza del mezzo, del buon senso e della legge sono tali da dover dichiarare ognuno di questi geni come incapace di intendere e di volere.
Il problema è che facendolo avremmo in Italia molti più individui dichiarati tali che gente di buon senso.
E questo discorso si espande a tutto. Al non rendersi conto della gravità nella diffusione di immagini e video altrui in rete, per esempio: e mi riferisco non solo ai tristi casi accaduti qualche settimana fa, ma anche a quelli che pensano sia divertente fotografare estranei e commentarli in rete. E ancora al non capire che tutto in rete rimane per sempre. Nonostante il diritto all’oblio, nonostante qualunque cosa si voglia intraprendere: se qualcosa è in rete non andrà mai via.
Il grosso problema della diffusione di massa della rete è che questa diffusione non è andata di pari passo con l’educazione all’utilizzo e questo, ormai, pesa parecchio.
Non basta poter fare una cosa per dire di saperla fare o, aggiungo, per avere il diritto di farla.
Abbiamo preso un’automobile da corsa e l’abbiamo data in mano a un neopatentato, confidando che la guidasse a dovere senza spiegargli la differenza tra quella e l’utilitaria con cui ha fatto l’esame di guida.
E poi ci stupiamo che si vada a schiantare, cosa che mi interesserebbe anche poco, se su quella strada non ci fossimo anche noi.