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No, per quanto possa venire il sospetto, non è un altro post sul chiudere con alcune persone, sebbene anche stavolta si tratti di un argomento già trattato (siete legittimati a dire che palle, tanto ne scrivo lo stesso).
Da alcuni giorni avevo in mente un’idea che ronzava e stamattina ho deciso di metterla in pratica.
Ho aperto due ante del mobile del soggiorno, ho tirato fuori tutti i bicchieri di cristallo che erano lì dentro e appartenevano ancora a mia madre e li ho portati in discarica.
Sento già la voce di qualcuno che griderà allo scandalo: ma come? Erano di cristallo! Magari potevi venderli! E poi erano un ricordo! Perché buttarli?
Proprio perché non erano un ricordo. Erano qualcosa che apparteneva ai miei genitori ed è molto diverso. I ricordi che ho di loro sono altrove. Sono nelle foto, sono in oggetti ben più piccoli, sono nel mio viso che li ricorda entrambi.
Non sono certo in bicchieri impolverati che in vent’anni dalla morte di mia madre ho usato forse tre volte e ognuna di quelle per cercare di far colpo su una donna invitata a cena (e no, non credo che siano stati discrimimanti, per la cronaca).
Quei bicchieri occupavano spazio, non solo nel mobile, ma anche nella mia vita, a esigere un ruolo che non hanno mai avuto e non avranno mai.
Solo perché mia madre pensava fossero belli e necessari non significa lo debbe pensare io.
Una delle cose che ho imparato in questi mesi e anni è che attorno a me voglio cose che mi appartengano: ovviamente non intendo materialmente (quello è scontato), ma moralmente ed emotivamente; da qui i quadretti nerd alle pareti, da qui la bacheca coi biglietti di viaggi, concerti e film, da qui il disfarmi di ciò che è in questa casa e non so cosa sia o a cosa serva.
Avrei potuto venderli? Forse. Ma in tempi lunghi, magari non prendendoci granché e dovendomi dannare per consegnarli o spedirli. No, grazie.
Per cui discarica.
Non solo loro, ma anche altri oggetti che occupavano spazio.
Poi Ikea, a prendere qualcosa per me.
E stasera scrivo dal mio nuovo angolo lettura che potrà diventare anche angolo scrittura e che, accidenti, mi fa stare proprio bene.
Perché è mio.
Non come quei bicchieri.